CAPITOLO 8
AUTORITÀ DELLA CHIESA NELLO STABILIRE ARTICOLI
DI FEDE È STATA SFRUTTATA NEL PAPATO IN
MODO DA PERVERTIRE OGNI PURA DOTTRINA

1. Esaminiamo ora il terzo punto che concerne l'autorità della Chiesa; autorità che risiede parte nei singoli vescovi e parte nei Concili, generali e regionali. Mi riferisco qui soltanto alla autorità spirituale che è propria della Chiesa.
Essa si compone di tre elementi: autorità in materia dottrinale, potere di giurisdizione, e facoltà di stabilire leggi e regolamenti.
Per quanto concerne la dottrina, si devono considerare due elementi: il primo consiste nello stabilire articoli di fede, il secondo concerne l'autorità di esporre il contenuto della Scrittura. Prima di iniziare la trattazione specifica della materia prego ogni lettore credente di tener presente il fatto che tutto quanto vien detto riguardo all'autorità della Chiesa deve esser ricondotto al fine per cui, secondo san Paolo, questa autorità fu data: cioè per l'edificazione e non per la distruzione (2 Co. 10, o; 13.8). Tutti coloro che ne vogliono far uso, rettamente, non debbono perciò pretendere di essere considerati altrimenti che sotto il profilo di ministri di Cristo e del popolo, secondo quanto dice san Paolo (1 Co. 4.1). Ora l'unica forma di edificazione della Chiesa si ha quando i ministri si applicano e si sforzano di serbare a Gesù Cristo la pienezza della sua autorità che non può essere garantita altrimenti che riservandogli ciò che dal Padre ha ricevuto: che egli sia cioè l'unico Signore nella Chiesa; riguardo a lui infatti e a nessun altro, è stato scritto: "Ascoltatelo " (Mt. 17.5). Pertanto l'autorità ecclesiastica merita di essere valutata e considerata purché si mantenga in questi limiti: non la si tiri a destra e a manca secondo il piacimento degli uomini.
È necessario, per questa ragione prestare attenzione alla descrizione che ce ne danno sia i profeti che gli apostoli. Ognuno comprende infatti che se concediamo agli uomini il potere che sembra loro dover richiedere si apre la porta ad un autoritarismo sfrenato che non deve invece avere posto alcuno nella Chiesa di Dio.
2. Si deve perciò considerare il fatto che tutta la dignità e l'autorità attribuita dalla Scrittura ai profeti e ai sacerdoti dell'antico patto, agli apostoli e ai loro successori non è attribuita alla loro persona ma all'ufficio e al ministero di cui sono investiti; o, per esprimerci più chiaramente, alla parola di Dio di cui sono fatti ministri. Poiché se li consideriamo tutti in ordine: profeti, sacerdoti, apostoli, e discepoli, dobbiamo constatare che non è mai stato loro dato alcun potere di governo o di insegnamento se non in nome e in funzione della parola del Signore. Inviati in missione è loro ordinato esplicitamente di non aggiungere nulla di proprio, ma di attenersi alla parola del Signore. Dio infatti li presentò al popolo, ordinando che si prestasse loro ascolto, dopo che ebbe assegnato loro un preciso incarico e quasi il programma di quello che avevano a dire.
Certo ha voluto che a Mosè, il massimo dei profeti, fosse dato ascolto in modo particolare ma la mansione che gli è stata affidata consiste in primo luogo nel non poter annunziare nulla se non da parte del Signore. Pertanto quando il popolo ha accolto il suo insegnamento è detto che "credette a Dio e a Mosè suo servo " (Es. 14.31).
Anche l'autorità dei sacerdoti è stata stabilita con severi ammonimenti, affinché nessuno la disprezzasse (De 17.9).
Ma d'altra parte il Signore mostra in che modo essi debbano essere ascoltati, dicendo che ha stabilito il suo patto con Levi affinché la verità fosse nella sua bocca (Ma.2.4-6). Aggiunge, poco dopo, che le labbra del sacerdote custodiranno la scienza e nella sua bocca si cercherà la Legge, in quanto egli è messaggero del Signore. Se il sacerdote dunque vuol essere ascoltato deve comportarsi come un fedele messaggero di Dio, cioè trasmettere con fedeltà ciò che gli è stato affidato. Infatti, quando è parlato di ascoltarli, viene espressamente ordinato loro di parlare secondo la legge del Signore (De 17.10).
3. Per quanto concerne i profeti si legge in Ezechiele una bella definizione che illustra qual sia stata sostanzialmente la loro autorità: "Figlio d'uomo, dice il Signore, ti ho stabilito come sentinella per la casa d'Israele, quando tu udrai dalla mia bocca una parola, tu li avvertirai da parte mia ". (Ez. 3.17). Ordinandogli di prestare ascolto alla sua bocca nostro Signore non gli proibisce forse di inventare qualcosa di suo? Che significa parlare "da parte del Signore "se non parlare in modo tale che tutto il vanto consista nel fatto che la parola che egli annunzia non è sua ma del Signore stesso?

Lo stesso pensiero si trova espresso, con altri termini, in Geremia: "Il profeta che ha avuto un sogno, racconti il sogno, colui che ha udito la mia parola, riferisca la mia parola fedelmente " (Gr. 23.28).
Indubbiamente, con queste parole, egli impone a tutti loro una norma: non tollera che qualcuno dica più di quello che gli è stato ordinato, e di conseguenza egli definisce "paglia "tutto ciò che non procede da lui. Non c'è infatti un solo profeta che abbia parlato senza aver prima ricevuto la parola di Dio. Si comprende perciò il fatto che nei loro scritti ricorrano così frequentemente espressioni quali: "parola del Signore ", "missione del Signore ", "la bocca dell'eterno ha parlato ", "visione ricevuta dal Signore " "il Signore degli eserciti ha detto "; giustamente Isaia infatti dichiara che le sue labbra sono contaminate (Is. 6.5); Geremia confessa la sua incapacità a parlare vedendosi bambino (Gr. 1.6). Che avrebbe potuto uscire dalla loro bocca contaminata e infantile se non cose folli e impure qualora avessero detto parole loro? Nella misura in cui però la loro bocca è diventata strumento dello Spirito Santo è stata pura e santa. Dopo aver circoscritto in questi termini precisi l'attività dei suoi profeti: non poter dire o insegnare nulla se non ciò che avranno ricevuto da lui, il Signore li riveste di eccezionale dignità. Dopo aver affermato che li ha stabiliti sui popoli e sui regni, per stabilire e abbattere, edificare e piantare (Gr. 1.10) , chiarisce immediatamente il fondamento di questa autorità loro conferita: è la sua parola che è stata posta nella loro bocca.
4. Passando a considerare gli apostoli, è bensì vero che Dio li ha onorati attribuendo loro parecchi titoli onorifici: Sono la luce del mondo, il sale della terra (Mt. 5.13); devono essere ascoltati come Gesù Cristo (Lu 10.16); ciò che avranno legato o sciolto in terra sarà legato o sciolto in cielo (Gv. 20.23); il nome stesso indica però ciò che è loro permesso nell'adempimento dell'ufficio. Sono chiamati ad essere "apostoli '', cioè messaggeri non per far chiacchiere su quanto sembra loro opportuno, ma per trasmettere fedelmente il messaggio di colui che li ha inviati. E le parole di nostro Signore sono sufficientemente chiare quando ordina di andare e insegnare ciò che aveva loro ordinato (Mt. 28.19-20).
Anzi egli stesso si è sottoposto a questa condizione di messaggero affinché nessuno rifiutasse di esservi soggetto: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato " (Gv. 7,: 16). Egli, da sempre, consigliere eterno e unico del Padre, e da lui costituito maestro di tutti, dimostra, nondimeno con il suo esempio, in quanto è venuto nel mondo per insegnare, quale regola ogni ministro debba seguire e mantenere nel suo insegnamento. Analogamente l'autorità della Chiesa non deve essere considerata infinita, ma sottoposta alla parola di Dio, anzi, quasi inclusa in essa.
5. Questa norma è sempre stata attuata e riconosciuta valida nella Chiesa di Dio, e lo deve essere oggi; che cioè i dottori inviati da Dio non devono insegnare nulla all'infuori di ciò che hanno appreso da lui, vi sono state tuttavia diversità nei modi di apprendimento a seconda dei tempi, e la forma attuale differisce da quella che hanno avuto i profeti e gli apostoli.
In primo luogo, se corrisponde a realtà quanto afferma il Signore Gesù, che nessuno ha visto il Padre se non il Figlio, e colui a cui il Figlio avrà voluto rivelarlo (Mt. 11.27) , necessariamente coloro che, da principio, hanno voluto giungere alla conoscenza di Dio devono essere stati guidati da lui, eterna sapienza. Come avrebbero infatti potuto immediatamente afferrare i segreti di Dio, e annunziarli, se non fossero stati ammaestrati da colui che solo li conosce? I santi del passato perciò hanno conosciuto Dio contemplandolo nel suo figlio, come in uno specchio. Dicendo questo intendo affermare che Dio si è manifestato agli uomini solo mediante il figlio suo, sua verità, sapienza, luce unica. È a questa fonte che Adamo, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe hanno attinto tutta la loro conoscenza spirituale. A questa stessa fonte i profeti hanno attinto quanto insegnarono e scrissero.
Questa sapienza di Dio non è stata però comunicata agli uomini sempre nello stesso modo. Dio si è rivolto ai patriarchi mediante rivelazioni segrete, fornendo loro dei segni in modo tale da confermarlo affinché non vi fossero dubbi che realmente colui che parlava era Dio. I patriarchi hanno trasmesso di mano in mano, ai loro successori, ciò che avevano ricevuto, Dio aveva infatti affidato loro la sua parola a condizione che l'insegnassero ad altri assicurandone la trasmissione. Ai loro successori Dio dava la certezza che ciò che udivano non proveniva dalla terra, ma dal cielo.
6. Quando è piaciuto a Dio stabilire e costituire la Chiesa in forma più esplicita e visibile, ha voluto che la sua parola fosse messa per iscritto affinché i sacerdoti ne ricavassero il loro insegnamento al popolo e ogni dottrina predicata fosse raffrontata e misurata al metro di questa Scrittura. Quando viene perciò ordinato ai sacerdoti, dopo la promulgazione della Legge, di avere un insegnamento procedente dalla bocca del Signore (Ma.2.7) , questo significa che non dovevano insegnare nulla che fosse estraneo o diverso da quella dottrina che Dio aveva espressa nella sua Legge. Non era infatti loro facoltà aggiungere o togliere ad essa alcunché.
Mediante i profeti, venuti in seguito, Dio ha proclamato nuovi oracoli, in aggiunta alle leggi; nuovi non nel senso che non derivavano dalla Legge e non miravano a lei come alla meta. Riguardo alla dottrina infatti, i profeti sono stati semplici espositori della Legge aggiungendo ad essa solamente la rivelazione delle cose a venire. Fatta eccezione di queste ultime, non hanno offerto che la semplice spiegazione del Regno. Sembrando tuttavia opportuno a Dio che l'insegnamento avesse una ampiezza ed evidenza maggiore, per meglio soccorrere la debolezza delle anime, ordinò che le profezie fossero messe per iscritto e diventassero parte della sua parola. Sono stati poi aggiunti appresso i racconti storici, che i profeti hanno redatti su ispirazione dello Spirito Santo. Includo nelle profezie i Sl. , perché i temi sono simili e comuni.
Tutto questo corpo di scritti, composto dalla Legge e le profezie, i Sl. E i racconti storici, ha rappresentato per il popolo antico, cioè la Chiesa di Israele, la parola di Dio e, sino all'avvento di Cristo, i sacerdoti e dottori sono stati tenuti a limitare e conformare il loro insegnamento a questa norma senza che fosse loro lecito spostarsi né a destra, né a sinistra. La loro autorità, infatti, si trovava rinchiusa in questi limiti: parlare al popolo per bocca del Signore. Ciò che si può dedurre da quel testo significativo di Malachia dove egli ordina agli Ebrei di ricordare la Legge e prestare attenzione sino al momento della predicazione dell'evangelo (Ma.4.4). Con questa esortazione li sottrae ad ogni nuova dottrina e non li autorizza ad allontanarsi, sia pur di poco, dal cammino che Mosè aveva fedelmente indicato loro. Per questo Davide esalta la Legge e le attribuisce tale dignità: per distogliere cioè gli Ebrei dalla ricerca di qualcosa di nuovo o di aggiuntivo, considerando che era già stato loro rivelato quanto si richiedeva per la loro salvezza
7. Quando fu infine manifestata in carne la sapienza di Dio fu lei stessa a dichiararci apertamente quanto lo spirito umano può assimilare ed esprimere riguardo a Dio; noi abbiamo infatti in Gesù Cristo, il sole di giustizia splendente su di noi; egli ci dà della verità del Padre suo perfetta conoscenza, come nella luce del mezzogiorno, verità che risultava prima non chiara del tutto, anzi in alcuni punti oscura. L'Apostolo non ha certo voluto fare un'affermazione superflua dichiarando che Dio aveva parlato ai padri antichi, mediante i suoi profeti in molte maniere, ma in questi ultimi tempi ha parlato a noi mediante il suo Figliolo (Eb. 1.2). Con questa dichiarazione infatti egli intende dire che da ora innanzi Dio non parlerà più come in passato mediante gli uni o gli altri, e non aggiungerà profezia a profezia e rivelazione a rivelazione ma, avendo attuata la pienezza della sua rivelazione nel suo figlio, dobbiamo dire che egli rappresenta l'ultima e definitiva testimonianza che di lui abbiamo. Per questa ragione il tempo del nuovo Patto, da quando Gesù Cristo è apparso con la predicazione del suo Evangelo sino al giorno del giudizio, è indicato come: l'ultima ora, gli ultimi tempi, gli ultimi giorni, affinché, accontentandoci della perfezione degli insegnamenti di Cristo, impariamo a non creare nuovi insegnamenti né ad accoglierne di nuovi inventati dagli uomini.
Non è senza ragione pertanto che il Padre nell'inviarci il suo figlio per singolare privilegio, lo ha consacrato quale dottore e precettore nostro ordinandoci di dare ascolto a lui e non agli uomini. Certo egli ha raccomandato il suo ministero con poche parole quando ha detto: "Ascoltatelo! " (Mt. 7.5). Queste poche parole sono però cariche di una forza e di un significato maggiore di quanto potrebbe sembrare; poiché hanno la funzione di sottrarci ad ogni dottrina umana per fissare la nostra attenzione al solo figlio di Dio, ordinandoci di ricevere da lui ogni dottrina salutare, di dipendere interamente da lui, di essere a lui solo vincolati, in breve di obbedire solo a lui. A dire il vero chi potrebbe aspettarsi qualcosa dagli uomini, ora che la stessa parola della vita ha famigliarmente conversato con noi in carne, se non chi nutre la speranza che l'uomo possa sopravanzare la sapienza di Dio? Occorre invece che ogni bocca umana sia tappata da quando ha parlato colui in cui sono nascosti per volontà del Padre tutti i tesori della scienza e della sapienza (Cl. 2.3) , e ha parlato nel modo che compete alla sapienza di Dio (che non è manchevole in alcuna sua parte ) e al Messia, da cui si attendeva la pienezza della rivelazione (Gv. 4.25); ha insomma parlato in modo tale da non lasciare agli altri nulla da dire, dopo di sé.
8. Si consideri perciò questa conclusione come definitiva: nella Chiesa si deve considerare parola di Dio unicamente quanto è contenuto nella Legge e nei Profeti e negli scritti degli apostoli, e non esiste altro modo di fornire, nella Chiesa, un insegnamento retto e fondato se non riconducendo ogni dottrina a questo metro. Dobbiamo dedurre da questo che non è stato concesso agli apostoli nulla più di quanto era stato concesso anticamente ai profeti: esporre cioè la Scrittura già data in precedenza e dimostrare che in Gesù Cristo erano state adempiute tutte le cose dette in precedenza. E questo non è stato possibile se non in virtù del Signore stesso, dettando cioè lo spirito di Gesù Cristo ciò che dovevano dire. Gesù Cristo infatti ha posto alla loro missione un limite preciso ordinando di andare e di insegnare non ciò che avrebbero potuto inventare da se stessi, senza riflettere, ma esclusivamente ciò che era stato ordinato loro (Mt. 28.20). Inoltre non si potrebbe desiderare per parte sua dichiarazione più esplicita di questa: "Non vi fate chiamare maestri, perché avete un solo maestro nei cieli, io stesso " (Mt. 23.8). E volendo far penetrare più a fondo questa parola nell'animo loro la ripete due volte in una stessa occasione. Non essendo però in grado a causa della loro lentezza di intendere ciò che avevano udito e appreso dal loro maestro, egli promette lo Spirito di verità per guidarli nella retta intelligenza di tutte le cose (Gv. 14.26; 16.13). Merita infatti di essere attentamente notata questa limitazione: egli assegna allo Spirito Santo il compito di suggerire ciò che precedentemente aveva insegnato a viva voce.
9. San Pietro perciò, avendo molto bene inteso, dal Maestro, quale fosse il suo compito non attribuisce né a se né agli altri altra mansione che questa: trasmettere ciò che gli era stato affidato: "Colui che parla "dice "parli come annunziando oracoli di Dio " (1 Pi. 4.2) , cioè con coraggio, non con titubanza come gente non accreditata dall'alto e che non ha la libertà di spirito dei servi di Dio. Che significa questo se non rifiutare ogni invenzione dello spirito umano, da qualsiasi mente proceda, affinché sia insegnato nella comunità di credenti la pura parola di Dio? Non significa questo distruggere ogni pensiero umano, di qualsiasi natura, affinché soltanto le leggi di Dio siano stabilite?
Queste sono le armi spirituali al servizio di Dio per uno smantellamento delle fortezze (2 Co. 10.4) , mediante le quali i buoni soldati di Dio distruggono i ragionamenti e le speculazioni che si innalzano contro la conoscenza di Dio e conducono prigioniero all'obbedienza di Cristo ogni pensiero essendo pronti a punire ogni disobbedienza. Questa è la potestà ecclesiastica, esplicitamente affidata ai pastori della Chiesa, con qualsiasi titolo si vogliano indicare, che cioè osino coraggiosamente ogni cosa, in nome della parola di Dio di cui sono costituiti amministratori, e pieghino ogni gloria, potenza, autorità di questo mondo all'obbedienza e alla sottomissione dinanzi alla maestà divina; abbiano, in virtù di questa parola, governo sul mondo intero, edifichino la dimora di Cristo, sovvertano il regno di Satana, pascano le pecore e annientino i lupi, conducano i docili con insegnamenti ed esortazioni, sottomettano e correggano i ribelli e gli ostinati, leghino e sciolgano, minaccino e condannino se è il caso, ogni cosa però sia fatta sulla base della parola di Dio.
Tra gli apostoli e i loro successori esiste però questa differenza, come già ebbi modo di dire gli apostoli devono essere considerati scrivani dello Spirito Santo, affinché i loro scritti fossero considerati autentici, i loro successori non hanno invece altro compito se non quello di insegnare ciò che trovano nella Sacra Scrittura. Ricaviamo dunque la conclusione che non è lecito ad un ministro fedele creare nuovi articoli di fede, ma egli deve semplicemente attenersi all'insegnamento cui Dio, senza eccezione, ci ha sottoposti. Affermando questo non intendo soltanto dimostrare ciò che è lecito al singolo, ma altresì alla Chiesa universale.

Riguardo alle persone, sappiamo che san Paolo era stato ordinato Apostolo sulla Chiesa di Corinto; tuttavia egli afferma che non signoreggia sulla loro fede (2 Co. 1.24). Chi oserebbe perciò usurpare per se stesso un'autorità che san Paolo dichiara non appartenergli? Qualora avesse approvato una libertà di questo genere lasciando che i pastori possano pretendere che si presti fede a tutto quello che piace loro d'insegnare, non avrebbe mai stabilito fra i Corinzi la norma che i profeti fossero in due o tre a parlare e gli altri giudicassero; e se alcuno degli altri avesse una rivelazione migliore parlasse lui e il primo tacesse (1 Co. 14.29-30). Con tali parole, senza aver riguardo ad alcuno, ha sottoposto l'autorità di ogni uomo alla censura e al giudizio della parola di Dio.
Qualcuno potrà dire che diverso è il caso della Chiesa universale. Rispondo che san Paolo ha prevenuto questa obiezione quando, in un altro detto, ha dichiarato che la fede vien dall'udire, e l'udire dalla parola di Dio (Ro 10.17). Se la fede dipende dalla parola di Dio soltanto, e mira ad essa sola, e su di essa si fonda, che posto rimane, mi chiedo, alla parola degli uomini? A questo riguardo nessuno, che abbia una idea chiara di ciò che è fede, potrà aver dubbi o esitazioni. Poiché deve essere fondata su un fondamento di natura tale da potersi mantenere stabile e invincibile nella lotta contro Satana, le macchinazioni dell'inferno e le tentazioni del mondo. Tale stabilità si riscontra nella sola parola di Dio.
C'è ancora un motivo generale che occorre considerare: se Dio sottrae agli uomini la libertà di creare nuovi articoli di fede, egli lo fa per essere unico maestro e dottore nostro nell'insegnamento spirituale, in quanto è l'unico ad essere veritiero, a non mentire, a non ingannarsi. E questo fatto non riguarda solo i credenti singoli, ma la Chiesa tutta.
10. Se paragoniamo questa autorità con quella rivendicata da quei tiranni spirituali, che si spacciano per vescovi e pastori delle anime, non c'è paragone più adatto che quello di Cristo e Belial. Non ho l'intenzione di esaminare in che modo e con quale disordine abbiano esercitato la loro tirannia. Mi limiterò ad esporre la dottrina che costoro sostengono, innanzitutto con scritti e predicazioni, e poi Cl. Fuoco e con la spada.
Partendo dalla premessa indiscussa che un concilio ecumenico rappresenti veramente la Chiesa, deducono che non può sussistere dubbio riguardo al fatto che tutti i concili sono direttamente guidati dallo Spirito Santo e pertanto non possono errare. Essendo però loro stessi a dirigere i concili e a prendere le decisioni, l'autorità che attribuiscono a quelli in realtà la rivendicano per se. Vogliono dunque che la nostra fede stia in piedi o cada a loro piacimento, chiedendo che ogni loro decisione presa, in un modo o nell'altro, abbia per noi valore assoluto e normativo.
Hanno deciso qualcosa? Lo dobbiamo accogliere senza riserve; hanno condannato qualcosa? Lo dobbiamo considerare condannato. Essi inventano però, seguendo la loro fantasia e senza alcun riguardo per la parola di Dio, le dottrine che a loro piace, a cui, per il solo fatto che le hanno fatte loro, dovremmo prestare fede. Non considerano cristiano se non chi vive in pieno accordo con tutte le loro decisioni sia affermative che negative, per lo meno con fede implicita, come essi dicono, in quanto il loro principio fondamentale è che spetti all'autorità della Chiesa creare nuovi articoli di fede.
11. Esaminiamo anzitutto gli argomenti cui ricorrono per dimostrare che alla Chiesa è stata conferita questa potestà; esamineremo in seguito che cosa si ricava da queste affermazioni riguardo alla natura della Chiesa.
La Chiesa, essi dicono, è garantita dalle grandi e meravigliose promesse di non esser mai abbandonata da Gesù Cristo suo sposo e di essere guidata dal suo Spirito nella verità.
Un numero rilevante delle promesse che sono soliti citare non si riferiscono però alla Chiesa nel suo insieme più di quanto si riferiscano al singolo credente in particolare. Quantunque infatti Gesù Cristo si sia rivolto ai dodici apostoli dicendo: "Sarò con voi sino alla fine del mondo " (Mt. 28.20); e: "Pregherò il Padre e vi darà un altro consolatore, cioè lo Spirito della verità " (Gv. 14.16) , tuttavia queste promesse non concernono esclusivamente il gruppo dei dodici in se, ma ognuno di loro singolarmente, anzi tutti i suoi discepoli che già aveva eletti o doveva eleggere appresso. Ora, interpretando queste promesse così cariche di singolare consolazione in modo restrittivo, come rivolte alla Chiesa nel suo insieme e non ad ogni singolo cristiano, ottengono il risultato di sottrarre ad ogni singolo cristiano quella consolazione che ne dovrebbe invece ricavare per accrescere la sua fiducia. Non contesto che la comunità dei credenti, arricchita da questa diversità di grazie non abbia, nel suo insieme, maggior ricchezza della divina sapienza di quanto ogni credente abbia, preso singolarmente. Intendo soltanto sottolineare che ingiustamente danno alle parole di nostro Signore un significato diverso da quello che ebbero quando furono pronunciate.
Riconosciamo dunque (perché è vero ) che il Signore assiste eternamente i suoi, li conduce con il suo Spirito, e questo Spirito non e errore, ignoranza, menzogna o tenebre ma rivelazione, verità, sapienza, luce da cui essi possono, senza tema di ingannarsi, apprendere quali siano le cose date loro da Dio (1 Co. 2.12) , quale sia cioè la speranza della loro vocazione e quali siano le ricchezze della gloria della eredità di Dio, quanto eccellente sia la grandezza della sua potenza verso i credenti (Ef. 1.18). Considerando il fatto che i credenti ricevono però soltanto qualche elemento o le primizie di quello spirito, nella loro carne, anche quelli che fra tutti sono colmati delle ricchezze e delle grazie di Dio, l'atteggiamento migliore è quello di riconoscere la propria debolezza sì da attenersi fedelmente ai termini della parola di Dio per tema che, volendo procedere oltre, nel seguire i propri sensi, si smarrisca subito la retta via. Non ho infatti il minimo dubbio che qualora ci si allontani, sia pur di poco, da questa parola, ci si lasci ingannare in ogni circostanza in quanto siamo in parte privi di quello spirito in base al cui insegnamento solo siamo in grado di discernere la verità dall'errore. Tutti infatti riconosciamo con san Paolo di non esser ancora giunti alla meta (Fl. 3.12). Continuiamo pertanto, giorno dopo giorno, ad imparare anziché vantarci di una qualche perfezione.
12. Risponderanno che quanto viene attribuito ai santi singolarmente, compete alla Chiesa in modo assoluto. La risposta? Eccola. Quantunque questo ragionamento sembri avere una parvenza di verità, ne contesto tuttavia la validità. Riconosco che nostro Signore distribuisce con misura i doni del suo Spirito ad ogni membro del suo corpo in modo che nulla manchi al corpo universale, quando tutti i doni sono considerati nella loro totalità. Le ricchezze della Chiesa però sono di natura tale da essere sempre lungi dalla perfezione sovrana che i nostri avversari rivendicano. La Chiesa certo non è carente del necessario, perché lo Spirito conosce le sue necessità. Per mantenerla in un atteggiamento umile e modesto le dà però solo quanto le è necessario.
So bene che hanno l'abitudine di citare, come obiezione, le parole di san Paolo, che Cristo ha purificato la sua Chiesa mediante il battesimo dell'acqua con la Parola per farla sua sposa gloriosa, senza macchia e senza rughe, ma santa ed irreprensibile (Ef. 5.26-27) , e, che per la stessa ragione, la definisce in un altro testo, colonna e base della verità (1 Ti. 3.15).
Nel primo testo ci è illustrata l'opera quotidiana di Cristo nei suoi eletti più che la sua opera già realizzata. Perché se quotidianamente li santifica, purifica, monda dalle loro macchie, è evidente che permangono ancora deformati e macchiati e la loro santificazione è lacunosa. Considerare inoltre santa e immacolata la Chiesa le cui membra sono contaminate e impure non è forse pura follia? È dunque bensì vero che Cristo ha purificato la sua Chiesa al battesimo d'acqua mediante la parola della vita, l'ha cioè purificata mediante la remissione dei peccati, di cui la purificazione del battesimo è segno, e l'ha purificata in vista di santificarla. Ma di tale santificazione appare ora soltanto l'inizio, la sua fine e il suo pieno compimento si avranno quanto Cristo, il santo dei santi, l'avrà interamente colmata della sua santità; è altresì vero che le macchie e i difetti della Chiesa sono cancellati ma ciò significa che continuano ad essere cancellati di giorno in giorno finché Cristo nel suo avvento, li annulli definitivamente. Non accettando questa interpretazione, è d'uopo affermare, con i Pelagiani, che la giustizia dei credenti è perfetta già in questo mondo, e con i Catari e Donatisti, che non vi è Chiesa laddove sia presente qualche infermità. Ora i il significato dell'altro testo, come abbiamo già detto altrove 4' è assolutamente diverso da quello che essi pretendono. Dopo aver illustrato a Timoteo l'ufficio di vescovo, san Paolo aggiunge che lo ha fatto affinché sappia come occorre parlare nella Chiesa di Dio. E per sottolineare l'importanza della cosa afferma che questa Chiesa è colonna e base di verità. Che significano queste parole se non che la verità di Dio è mantenuta nella Chiesa mediante il ministero della predicazione? Come dichiara in un altro testo dicendo: "Gesù Cristo ha dato gli uni come apostoli, dottori, pastori, affinché non siamo più sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, per la frode degli uomini, la loro astuzia, ma illuminati dalla conoscenza del Figlio di Dio siamo ricondotti all'unità della fede " (Ef. 4.2). Il fatto che la verità non sia soffocata nel mondo, ma permanga valida ed efficace, si realizza in quanto la Chiesa ne è sicura e fedele custode per mantenerla. Se quest'opera di custodia che ne fa la Chiesa si attua nel ministero dei profeti e degli apostoli ne consegue che, in ultima analisi, tutto dipende dal fatto che la parola di Dio sia conservata nella sua integrità.
13. Per aiutare i lettori a cogliere il centro del problema esporrò in breve le tesi dei nostri avversari e su quali punti le contestiamo.
Quando affermano che la Chiesa non può errare intendono dire questo: essendo retta dallo Spirito di Dio essa può camminare sicura anche senza la Parola, e comunque cammini non può sentire e dire altro che la verità e perciò, quand'anche determini qualche cosa oltre la parola di Dio, bisogna vedere nella sua decisione un oracolo che proviene dal cielo.
Accettiamo per parte nostra l'affermazione che la Chiesa non possa errare nelle cose necessarie alla salvezza, nel senso però che tale mancanza di errore deriva dal fatto che rinunciando ad una propria sapienza accetti di essere ammaestrata dallo Spirito mediante la parola di Dio. Questo è il punto di dissenso che sussiste tra noi: attribuiscono autorità alla Chiesa all'infuori della Parola; noi, al contrario, congiungiamo l'una e l'altra in modo inscindibile. Non fa dunque meraviglia che la Chiesa, sposa e discepola di Cristo, sia sottoposta al suo maestro e sposo per accettare in modo totale quanto egli dice e comanda. Poiché l'ordine di una casa ben amministrata richiede che la donna obbedisca al marito e lo consideri suo superiore, è altresì nello stile di una buona scuola che soltanto il maestro abbia autorità per insegnare ed essere ascoltato.
La Chiesa perciò non ha da pretendere di essere sapiente di per se stessa e inventare nulla, ma deve considerare che la sostanza della sua sapienza consiste nel fatto che Gesù Cristo parla. Essa diffiderà perciò di tutte le invenzioni della sua sapienza. Al contrario, fondandosi sulla parola di Dio non cadrà vittima di debolezza o di dubbio ma si affiderà con piena fiducia e costanza ad essa soltanto. Accettando parimenti con fiducia le promesse che le sono fatte troverà dove fondarsi con sicurezza non avendo il minimo dubbio che lo Spirito Santo l'assista costantemente fungendo per lei da guida e conduttore.
D'altra parte terrà presente però lo scopo e il fine per cui il Signore vuole che noi riceviamo il suo Spirito: "Lo Spirito "dice "che vi manderò da parte del Padre, vi condurrà in tutta la verità " (Gv. 16.7-13). Come avviene questo? Egli aggiunge subito: "Perché vi insegnerà tutte le cose che vi ho insegnate ". Egli attesta così che dal suo Spirito ci si deve attendere solo questo: che ci faccia accogliere la verità del suo insegnamento, illuminando la nostra intelligenza, e ci faccia accogliere la verità della sua parola. Degna di nota perciò la parola di Crisostomo: "Molti "dice "si vantano dello Spirito; coloro però che vi aggiungono del proprio, lo fanno ingiustamente. Come Cristo ha dichiarato che non parlava di suo, in quanto la sua dottrina era ricavata dalla Legge e i Profeti, così non dobbiamo prestar fede a chi a insegna, con il pretesto dello Spirito, qualcosa che non sia contenuto nell'evangelo; come Cristo è il compimento della Legge e i Profeti, così lo è lo Spirito per l'Evangelo ". Queste sono le parole di san Crisostomo. È ora facile vedere quanto siano fuori strada i nostri avversari quando fanno riferimenti soltanto allo Spirito e non lo citano che per mantenere, con il pretesto della sua presenza, dottrine strane e contrarie alla parola di Dio; mentre lo Spirito si vuole unito alla Parola con indissolubile legame, e Gesù Cristo attestò questo di lui quando lo promise ai suoi apostoli. E di fatto le cose stanno proprio così. Poiché quella riservatezza che Dio ha raccomandato alla sua Chiesa anticamente, egli desidera sia conservata sino alla fine. Le ha vietato di aggiungere o di togliere nulla alla sua parola; e si tratta di un ordine inviolabile di Dio e del suo Spirito, che i nostri avversari vogliono poter cassare quando fingono di credere che la Chiesa sia guidata dallo Spirito Santo senza la parola di Dio.
14. Obiettano ancora, ricorrendo ad un cavillo, che la Chiesa si è trovata nella necessità di recare aggiunte agli scritti degli apostoli e che essi stessi hanno insegnato molte cose oralmente per supplire ai loro scritti, in cui non avevano esposto tutto con chiarezza. A prova di questa affermazione citano le parole di Gesù Cristo: "Molte cose ho ancora da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata " (Gv. 16.12). Affermano che tali sono le leggi ricevute per prassi all'infuori della Sacra Scrittura.
Che spudoratezza è mai questa? Gli apostoli erano indubbiamente rozzi e ignoranti quando il Signore diceva loro queste cose, lo ammetto. Ma tale ignoranza sussisteva ancora quando hanno messo per iscritto il loro insegnamento al punto che, in seguito, abbiano dovuto supplire a questo aggiungendo oralmente ciò che avevano dimenticato o tralasciato per mancanza di intelligenza? Sappiamo invece che erano guidati dallo Spirito, in ogni verità, quando redigevano i loro scritti; per quale ragione non avrebbero potuto dare una perfetta presentazione della dottrina evangelica? Concediamo loro che gli apostoli abbiano tramandato oralmente nella Chiesa più di quanto abbiano scritto; chiedo solo che si stabilisca l'elenco di queste tradizioni. Osano farlo? Risponderò con una parola di sant'Agostino: "Non avendo il Signore precisato quali siano queste cose chi sarà fra noi colui che potrà dire "è questo ", "è quello "? O se osa dirlo, come potrà dimostrarlo? ".
È sciocco da parte mia voler disquisire più oltre su una questione del tutto superflua; i bambini stessi capiscono che la promessa del Signore di rivelare agli apostoli le cose che non potevano intendere, è stata adempiuta quando ha inviato loro lo Spirito Santo e tale rivelazione porta già i frutti nei loro scritti.
15. E che? Replicano, Gesù Cristo non ha forse voluto che l'insegnamento e le decisioni della Chiesa fossero fuori di discussione quando ha detto di considerare pagano o pubblicano colui che disubbidiva ad essi? (Mt. 18.17).
In primo luogo non si parla qui di insegnamenti; Gesù vuole che le ammonizioni fatte per correggere i vizi abbiano piena autorità affinché coloro che sono ammoniti e corretti non si ribellino.
È davvero sorprendente la spudoratezza di questi furfanti che, prescindendo da questo dato, osano valersi di questa testimonianza. Cosa possono infatti ricavare da questo testo se non che è illecito disprezzare il consenso unanime della Chiesa? Consenso che si realizza solo nella verità di Dio. Bisogna ascoltare la Chiesa, dicono; chi afferma il contrario? Finché essa dichiara soltanto la parola di Dio. Se pretendono ricavare qualcosa di altro da quel testo, sappiano che queste parole di Cristo non dicono assolutamente nulla in loro favore.
Non mi si deve giudicare eccessivamente polemico se ribadisco, con tanta insistenza, questo punto: Non esser lecito alla Chiesa creare alcuna nuova dottrina, cioè insegnare più di quanto Dio abbia rivelato nella sua parola. Ogni uomo ragionevole, infatti, vede chiaramente quali pericoli nascerebbero concedendo questo potere all'uomo; la porta sarebbe aperta ad ogni bestemmiatore per beffarsi della fede cristiana, se i cristiani dovessero accogliere come articoli di fede le decisioni degli uomini.

Si deve anche notare un'altro fatto: Gesù Cristo, secondo l'uso del suo tempo, ricorre ad un termine che indica il concistoro stabilito fra i Giudei, volendo con questo parallelismo indurre i suoi discepoli a rispettare i responsabili della Chiesa. Dovessimo prestar fede ai nostri avversari ogni città o villaggio avrebbe questa autorità nel creare articoli di fede.
16. Gli esempi a cui ricorrono, non sostengono le loro tesi. Dicono che il battesimo dei fanciulli è fondato più sul decreto della Chiesa che su un esplicito comandamento della Scrittura.
Ben misera e infelice sarebbe la scappatoia se per difendere il battesimo dei fanciulli fossimo costretti a ricorrere alla sola autorità della Chiesa; vedremo in altra sede che le cose non stanno affatto così.
Similmente, quando aggiungono che non si trova nella Scrittura il decreto del concilio di Nicea, secondo cui il Figlio di Dio è di una medesima sostanza Cl. Padre, recano grave offesa ai santi vescovi del Concilio come se avessero condannato temerariamente Ario, perché non voleva accettare la loro terminologia, pur dichiarando di accogliere tutta la dottrina contenuta negli scritti dei profeti e degli apostoli. Ammetto che il termine consustanziale non si riscontra nella Scrittura; considerando, però, che in essa è affermato così spesso che vi è un solo Dio e che inoltre Gesù Cristo viene detto vero Dio ed eterno, uno Cl. Padre, che hanno fatto i santi vescovi nel dichiarare che erano di una medesima essenza se non esporre semplicemente il senso della Scrittura?
Teodoreto, lo storico, narra che Costantino imperatore tenne questo discorso aprendo il Concilio: "Ci dobbiamo attenere all'insegnamento dello Spirito, trattando delle cose divine; i libri degli apostoli e dei profeti ci mostrano pienamente la volontà di Dio, pertanto, lasciando da parte ogni spirito di disputa prendiamo dalle parole dello Spirito Santo le decisioni e le risoluzioni che concernono la presente questione". Nessuno si sentì in dovere di contraddire queste sante ammonizioni o replicare che la Chiesa poteva aggiungere qualcosa di suo, che lo Spirito Santo non aveva tutto rivelato agli apostoli, o, per lo meno che questi non avevano lasciato tutto per iscritto. Nulla di tutto questo. Se fosse vero quanto i nostri avversari pretendono, l'imperatore Costantino avrebbe in primo luogo agito male sottraendo alla Chiesa la sua autorità; in secondo luogo sarebbe stata una pessima slealtà da parte dei vescovi il non alzarsi per riaffermare l'autorità della Chiesa. Al contrario Teodoreto riferisce che tutti accolsero di buon grado l'esortazione imperiale e la approvarono. Da questo risulta che la pretesa dei nostri avversari è una novità, sconosciuta a quei tempi.
CAPITOLO 9
I CONCILI E LA LORO AUTORITÀ
1. Quand'anche accettassimo tutte quante le loro affermazioni riguardo alla Chiesa, questo non gioverebbe molto per le loro rivendicazioni, infatti tutto ciò che vien detto dalla Chiesa lo riferiscono immediatamente ai concili, che rappresentano, secondo la loro fantasia, la Chiesa stessa. In sostanza il loro zelo, nel rivendicare potestà alla Chiesa, non ha altro fine se non attribuire al Papa e alla sua corte, tutto ciò che avranno potuto ottenere.
Prima di iniziare la trattazione di questo problema intendo chiarire brevemente due punti, il primo è questo: se assumo un atteggiamento rigido e sembro non concedere nulla ai nostri avversari, questo non significa che abbia per i concili antichi minor stima del dovuto. Con sentimento sincero li tengo in onore e desidero che ognuno li stimi e li riverisca; occorre però mantenere in questo discrezione per non recare in alcun modo offesa a Gesù Cristo. Poiché questo è il diritto e l'autorità che gli spettano: assumere la presidenza in ogni concilio e non spartire questa dignità con alcun mortale. Ora egli presiede quando è in grado di dirigere tutta l'assemblea mediante il suo Spirito e la sua forza.
Il secondo punto è questo: se attribuisco ai concili una importanza minore di quanto vorrebbero i nostri avversari non è per timore che i concili possano giovare alla loro tesi e risultare contrari alla nostra. Troviamo infatti ampiamente nella parola di Dio quanto occorre per confermare la nostra dottrina, e distruggere il papato intero, talché non è necessario cercare aiuto altrove; d'altra parte quando se ne presenti la necessità possiamo valerci assai bene dei concili per fare e l'uno e l'altro.
2. Affrontiamo ora il problema. Alla domanda qual sia l'autorità dei concili, secondo la parola di Dio, non c'è promessa più ampia ed esplicita per stabilirla della parola di Gesù Cristo: "ovunque due o tre sono raccolti nel mio nome, sono in mezzo a loro " (Mt. 18.20). Tale promessa concerne, è vero, sia una piccola assemblea che un concilio universale; non è tuttavia questo il centro della questione, ma il fatto che è precisata una condizione: Gesù Cristo starà in mezzo a una assemblea quando questa sia raccolta nel suo nome. Si riferiscano, i nostri avversari, finché vogliono, alle assemblee di vescovi, non ne ricaveranno grandi vantaggi, né ci convinceranno a prestar fede alla loro pretesa di essere guidati dallo Spirito Santo finché non avranno dimostrato di essere raccolti nel nome di Cristo. Poiché il caso di vescovi malvagi, che congiurano contro Cristo, può verificarsi altrettanto bene quanto il caso di buoni vescovi, che si raccolgono nel suo nome. Che tale possibilità sia reale lo dimostrano parecchi decreti emanati da vari concili, di cui potrei facilmente dimostrare l'empietà con argomenti evidenti; di questo però riparleremo appresso.
Affermo, per il momento, che, nel testo summenzionato, Cristo fa questa promessa unicamente a coloro che sono raccolti nel nome suo. Occorre definire ora che cosa questo significhi. Nego che si radunino nel nome di Cristo coloro che, rifiutando il comandamento di Dio in cui egli ha proibito di aggiungere o togliere nulla alla sua parola, stabiliscono a loro piacimento quanto sembra loro opportuno. Costoro, insoddisfatti di ciò che è contenuto nella sacra Scrittura, cioè nell'unica norma di vera e perfetta sapienza, inventano novità di testa propria. Gesù Cristo non ha promesso la sua assistenza a tutti i concili, indistintamente, ma ha aggiunto una precis. Indicazione in base alla quale distinguere i concili legittimi dagli altri; è indubbio che tale differenza non debba essere sottovalutata. Dio ha anticamente pattuito con i sacerdoti levitici che insegnassero la sua parola (Ma.2.7); la stessa cosa ha richiesto costantemente dai suoi profeti. La stessa legge ha imposto, da quanto ci è dato di vedere, agli apostoli. Non considera pertanto suoi sacerdoti e servitori coloro che trasgrediscono e violano questo patto e non riconosce loro autorità alcuna. Risolvano, i nostri avversari, questa difficoltà se vogliono che dia la mia adesione a leggi umane che esulano dalla parola di Dio.
3. Riguardo alla loro tesi che nella Chiesa la verità non esiste qualora non sia mantenuta fra i pastori, e anzi la Chiesa stessa non possa sussistere quando detta verità non appaia nei concili generali, è lecito avanzare forti dubbi che tale situazione si sia sempre verificata, se dobbiamo considerare veritiere le testimonianze che i profeti ci hanno lasciato riguardo ai tempi loro.
Sussisteva, a Gerusalemme, ai tempi di Isaia una Chiesa non abbandonata da Dio, tuttavia il profeta dice questo riguardo ai pastori: "I guardiani di Israele sono tutti ciechi, senza intelligenza. Sono tutti dei cani muti, incapaci d'abbaiare. Sognano, stanno sdraiati, amano sonnecchiare; sono dei pastori che non capiscono nulla, e ognuno mira al proprio interesse " (Is. 56.10).
Osea dice: "La vedetta d'Israele, prevalendosi di Dio, è un laccio d'uccellatore, un abominio nel tempio di Dio " (Os 9.8). Constatiamo che non fa alcun caso dei titoli d'onore di cui si vantavano i sacerdoti. Questa Chiesa si mantenne sino ai tempi di Geremia. Stiamo ora a sentire ciò che egli dice dei pastori: "Dal profeta al sacerdote tutti praticano la menzogna "e più oltre: "I profeti profetizzano menzogne nel mio nome; benché io non li abbia mandati, e non abbia dato loro alcun ordine " (Gv. 6.13; 14.14). Per non dilungarci nella citazione di tutte queste dichiarazioni rinviamo il lettore a quanto sta scritto nei capitoli 23e 40 del suo libro.
In quello stesso tempo Ezechiele, dal canto suo, li trattava con eguale severità: "La cospirazione dei suoi profeti "dice "in mezzo a lei, è come un leone ruggente che sbrana una preda. Costoro hanno divorato le anime, hanno preso tesori, hanno moltiplicato le vedove. I suoi sacerdoti violano la mia legge e profanano le mie cose sante; non sanno conoscere la differenza che passa fra cose profane e le cose che mi sono consacrate. I loro profeti intonacano tutto questo con terra che non regge, hanno delle visioni vane, pronosticano loro la menzogna, dicendo così parla il Signore, mentre il Signore non ha parlato affatto " (Ez. 22.25). Le proteste sono così frequenti in tutti i profeti che non si potrebbe trovare concetto più ribadito di questo.
4. Queste cose si son verificate fra i Giudei, dirà qualcuno, non concernono affatto il nostro tempo. Piacesse a Dio che così fosse. San Pietro però ha dichiarato che si verificherebbe proprio il contrario: "come sorsero falsi profeti nel popolo d'Israele, così sorgeranno fra voi falsi profeti che introdurranno eresie di perdizione " (2 Pi. 2.1). Da notare il fatto che il pericolo non verrà dagli elementi ignoranti del popolino ma da coloro che si vantano del titolo di dottore e pastore. Quante volte sono stati inoltre preannunziati da Cristo e dai suoi apostoli i pericoli in cui la Chiesa sarebbe stata posta dai suoi pastori? (Mt. 24.11-24); lo stesso san Paolo dichiara apertamente che l'Anticristo avrà la sua sede nel tempio di Dio (2 Ts. 2.4); con questa dichiarazione egli intende rendere i credenti attenti al fatto che la terribile calamità, di cui parla, sarà provocata proprio da coloro, che sono insediati nella Chiesa in qualità di pastori. In altro testo egli dimostra che questo fatto già si verificava ai suoi tempi; parlando ai vescovi di Efeso egli dice infatti, fra l'altro: "So che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge, e che fra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trarre i discepoli dietro a se " (At. 20.29).
Se i pastori hanno potuto corrompersi in così poco tempo quanto sarà cresciuta, nel succedersi degli anni, la corruzione? Per non occupare eccessivo spazio, sviluppando questi argomenti, farò notare che da tutti i tempi si verificano situazioni che ci rendono attenti al fatto che la verità non è sempre mantenuta fra i pastori e la salvezza della Chiesa non dipende affatto da un buon governo. Sarebbe certo auspicabile che fossero loro i custodi della pace e della salvezza della Chiesa, perché a questo sono stati preposti. Assolvere il proprio compito è cosa ben diversa da non fare ciò che si dovrebbe fare.
5. Non vorrei tuttavia essere frainteso, non preconizzo affatto una diminuzione dell'autorità dei pastori, né vorrei indurre il popolo a disprezzarli. La mia intenzione è solo di far notare che è esistita una diversità fra i pastori, e non si devono considerare tali, senza riserve, tutti coloro che ne hanno il nome. Ora, il Papa e tutti i vescovi della sua cricca, avrebbero l'autorità di capovolgere e mettere sossopra tutto quanto, a loro piacimento, senza aver riguardo alcuno per la parola di Dio, unicamente prevalendosi del titolo di pastore. Per la stessa ragione pretendono volerci far credere che non possono esser privi della luce di verità, che lo Spirito Santo risiede in essi, anzi, che la Chiesa vive e muore con essi, quasi Dio non avesse più diritto di giudizio per punire il mondo con gli stessi castighi che ha usato nei confronti del popolo antico: colpire cioè di cecità e di ottusità i pastori (Za. 12.4). Non sono forse del tutto privi di giudizio non accorgendosi che i loro discorsi sono gli stessi di quelli che facevano i cattivi sacerdoti opponendosi a Dio? Poiché costoro cercavano di premunirsi contro la verità dei profeti dicendo: "Venite, ordiamo macchinazioni contro Geremia. Poiché l'insegnamento della Legge non verrà meno per mancanza di sacerdoti, né il consiglio per mancanza di sani né la Parola per mancanza di profeti " (Gr. 18.18).
6. Con questo stesso argomento è facile dare una risposta al secondo punto concernente i concili generali. Non si può negare che fra i Giudei sia esistita, al tempo dei profeti, una vera Chiesa. Se allora si fosse convocato un concilio generale, quale tipo di Chiesa vi si sarebbe manifestata? Ricordiamo ciò che nostro Signore dichiara loro, non a uno o due, ma a tutti insieme: "I sacerdoti saranno attoniti e i profeti stupefatti " (Gr. 4.9); e: "La Legge mancherà ai sacerdoti e il consiglio agli anziani " (Ez. 7.26); e ancora: "Perciò vi si farà notte invece di visione e le tenebre invece di rivelazione; il sole tramonterà su questi profeti, il giorno si oscurerà su loro " (Mic 3.6). Vi domando ora se tutti costoro si fossero raccolti insieme quale spirito avrebbe presieduto al loro concilio? Un esempio singolare e probante di questo si ha nel concilio convocato da Achab. Vi convennero quattrocento profeti, ma non essendosi raccolti se non per adulare quel sovrano malvagio e incredulo, Satana fu inviato da Dio per farsi, nella bocca di tutti, spirito di menzogna (3Re 22.6-22). La verità venne così condannata all'unanimità in quella sede; Michea, fedele servitore di Dio, fu cacciato come eretico, percosso e imprigionato. Lo stesso accadde a Geremia e ad altri profeti.
7. Un solo esempio però ci basterà, notevole fra tutti. Nell'assemblea che i sacerdoti e i Farisei convocarono a Gerusalemme contro Gesù Cristo (Gv. 11.47) quali critiche si possono muovere riguardo all'aspetto formale? Se in Gerusalemme non fosse esistita allora una Chiesa, nostro Signore non avrebbe mai assistito ai sacrifici e alle altre cerimonie. La convocazione di quell'assemblea è fatta in modo solenne, la presiede il sommo sacerdote, tutto il clero vi partecipa, eppure Gesù Cristo vien condannato e la sua dottrina viene respinta. Questo dimostra che in quel concilio la realtà della Chiesa non era presente.
Non c'è motivo di temere che questo possa accadere a noi, si dirà. Chi può provarlo? In una questione di tale importanza non è lecito essere superficiali; si tratterebbe di una sciocchezza troppo grave. C'è di più, lo Spirito Santo ha chiaramente preannunciato, per bocca di san Paolo, che si sarebbe verificata una apostasia (2 Ts. 2.3) che non può aver luogo se i pastori per primi non si allontanano da Dio; perché volere, di proposito, chiudere gli occhi per non considerare la nostra rovina?
In nessun modo si deve perciò accogliere il principio, secondo cui la Chiesa consiste nell'assemblea dei prelati; Dio non ha mai promesso che costoro sarebbero stati costantemente buoni, anzi ha preannunciato che sarebbero, a volte, malvagi. Quando ci avverte dell'esistenza di un pericolo lo fa per renderci più intelligenti e prudenti.
8. Come, dirà qualcuno, i decreti dei concili non hanno autorità alcuna? Indubbiamente hanno autorità, rispondo. Non sto infatti affermando che tutti i concili si debbano respingere, e se ne debbano cassare tutte le decisioni dal primo all'ultimo.
Si risponderà che, per parte mia, li tengo in così poco conto da lasciare ad ognuno la facoltà di accogliere o respingere ciò che è stato deciso in un concilio. Questo lo nego. Ogni volta però che si cita il decreto di un qualche concilio, vorrei fosse accuratamente valutato il periodo in cui detto concilio è stato convocato, per quale ragione, a che fine, chi siano state le persone che vi abbiano preso parte; quindi si esaminasse il problema in questione alla luce della Scrittura; fatto tutto questo la decisione conciliare potrebbe assumere il suo peso e valore normativo ma non senza quell'esame.
Vorrei si mantenesse l'insegnamento di sant'Agostino, nel terzo libro contro Massimino. Per chiudere la bocca a quell'eretico che polemizzava contro i decreti conciliari, egli dice: "Non è il caso che io citi il concilio di Nicea e che tu risponda citando quello di Rimini come se non avessimo la libertà di giudicare. Tu infatti non sei soggetto al primo né io al secondo; il problema sia dibattuto con buona conoscenza di causa e ragionevolezza, e il tutto sia fondato sulla Scrittura che è comune alle due parti ". Se ciò fosse fatto i concili avrebbero l'autorità che devono avere e tuttavia la Scrittura conserverebbe la sua preminenza sottoponendo ogni cosa alla sua norma.
In base a questa impostazione di metodo, accettiamo pienamente gli antichi concili quali Nicea, Costantinopoli, il primo di Efeso, Calcedonia, e gli altri che si sono tenuti per condannare gli errori e le false opinioni degli eretici; li consideriamo, ripeto, con riverenza e onore in virtù degli articoli di fede che furono colà definiti. Questi concili infatti contengono solo una pura ed evidente interpretazione della Scrittura, che i santi Padri, con oculatezza hanno messa a punto per respingere i nemici della cristianità.
Analogamente in alcuni di quelli che si sono tenuti appresso notiamo zelo di pietà ed evidenti elementi di dottrina, di prudenza, di spirito; essendo però il mondo solito peggiorare nel crescere, e facile constatare come nei lavori conciliari la Chiesa si sia a poco a poco allontanata dalla purezza originale. Non dubito affatto, che anche in quei tempi, già assai corrotti, abbiano preso parte ai concili vescovi integri. Si è però verificato l'inconveniente che i senatori romani lamentavano nel loro senato, quando si conteggiavano i voti senza tener conto delle motivazioni e si prendevano le decisioni in base alla maggioranza: la parte più numerosa aveva, spesso, partita vinta sulla migliore. Certo sono state prese in questo modo decisioni cattive e non ho bisogno di citare In questa sede esempi in dettaglio, sia perché sarebbe troppo lungo, sia perché altri lo hanno già fatto con tanta cura che non ho nulla da aggiungere.
9. È forse il caso di menzionare le contraddizioni dei concili e come uno abbia disfatto ciò che era stato fatto da un altro? Né mi si deve rispondere che se due concili si contraddicono, uno deve essere considerato illegittimo! Quali sono infatti i criteri di giudizio? Penso non esista altra possibilità che giudicare sulla base della Scrittura quale dei due abbia preso una decisione errata, non essendoci infatti altra norma sicura di valutazione.
Circa novecento anni fa si tenne a Costantinopoli, al tempo di Leone imperatore, un concilio in cui fu ordinata la rimozione e la distruzione di tutte le immagini che si tenevano nelle Chiese. Poco dopo, Irene, madre dell'imperatore, convocò un altro concilio a Nicea, che ordinò di introdurre nuovamente le immagini . Quale dei due è da considerarsi legittimo? Il secondo ha avuto partita vinta poiché le immagini si sono mantenute nelle Chiese. Sant'Agostino però dichiara che questo non può accadere senza grave pericolo di idolatria. Epifanio, dottore più antico ancora, si esprime in termini più severi perché afferma che la presenza di immagini nei templi dei cristiani deve considerarsi peccato ed abominazione. Avendo essi espresso questo parere, al tempo loro, approverebbero quel tale concilio se vivessero oggi? Fatto più grave ancora, se gli storici dicono il vero, quel concilio non solo ha accolto le immagini, ma ha pure stabilito che si debbano onorare. Ora è evidente che una tale decisione è ispirata da Satana. Che potremmo dire riguardo a questa depravazione e falsificazione, a questo smembramento della Scrittura? Questo mostra che non hanno fatto altro che beffarsi, come ho illustrato più sopra.
Comunque sia, non siamo in grado di operare una scelta tra concili che si contraddicono l'un l'altro, come accade in molti casi, se non valutandoli tutti secondo la parola di Dio, norma a cui sono sottoposti non solo gli uomini ma anche gli angeli. Per questa ragione respingiamo i decreti del secondo concilio di Efeso e approviamo quello di Calcedonia, il primo ha approvato gli errori di Eutiche, il secondo li ha condannati. Infatti i Padri che hanno partecipato al concilio di Calcedonia hanno tratto i loro pensieri unicamente dalla parola di Dio. Li seguiremo perciò avendo per illuminarci, la stessa parola di Dio che li ha ispirati nei loro pensieri. Vengano ora i Romanisti a vantarsi, come sono soliti fare, che lo Spirito Santo è legato e vincolato ai loro concili!
10. Ci sarebbe pure da fare qualche riserva anche riguardo agli antichi concili, che pur risultano essere i più puri; o perché i vescovi di quel tempo, pur essendo uomini savi e avveduti, essendo direttamente implicati nei problemi per cui si erano radunati, non prendevano in considerazione i problemi generali, o perché impegnati a risolvere gravi questioni non prestavano attenzione ai problemi di importanza secondaria, o perché commisero sbagli per ignoranza o perché a volte si mostrarono troppo passionali nelle loro reazioni.
Quest'ultima ragione potrebbe sembrare la più insolita, non avessimo un esempio degno di nota nel primo concilio di Nicea, che è stato posto su tutti gli altri per particolare dignità. I vescovi, convenuti in quella sede per difendere i punti fondamentali della nostra fede, quantunque si trovassero in presenza di Ario, pronto a dar battaglia, e si richiedesse, per poterlo vincere, un accordo generale, noncuranti del pericolo in cui versava la Chiesa, quasi fossero convenuti per fargli piacere, cominciarono ad aggredirsi, accusarsi, ingiuriarsi l'uno l'altro, mettere in giro libelli diffamatori in cui spiattellavano tutta la loro vita, senza ritegno; lasciando insomma Ario da parte si distruggevano a vicenda. Tanta era la violenza con cui si accanivano l'uno contro l'altro che non avrebbero mai posto fine ai loro litigi se l'imperatore Costantino, pur dichiarando di non voler fungere da giudice, non avesse posto fine al dibattito.
È dunque tanto più verosimile che gli altri concili, susseguitisi da allora, abbiamo avuto qualche lacuna. Questo non ha bisogno di ampia dimostrazione poiché chiunque legga gli atti degli antichi concili, vi riscontrerà molti difetti. Perciò non ci dilunghiamo.
11. Leone, vescovo di Roma, non ha avuto la minima esitazione ad accusare il concilio di Calcedonia di ambizione e sconsiderata temerarietà, pur riconoscendolo santo e cristiano sotto il profilo dottrinale. Non ne contesta il carattere legittimo, ma dice chiaramente che ha potuto sbagliare.
Qualcuno mi giudicherà malintenzionato perché metto in luce con tanta premura questi errori, dato che gli stessi papisti ammettono che i concili possono errare nelle cose non necessarie alla salvezza. Questo discorso non è però superfluo. I papisti, infatti, quando si vedono piegati con argomenti validi, dichiarano di ammettere questo, in realtà però volendoci fare accogliere come rivelazione dello Spirito Santo, senza eccezione e globalmente, tutto ciò che è stato determinato nei concili, su qualsiasi argomento, richiedono, in realtà, più di quanto dicono. Quale è il loro scopo nel far questo? Ottenere l'infallibilità dei concili. Oppure, quand'anche abbiano errato, non sia lecito accoglierne la verità senza accettarne anche gli errori. Scopo del mio discorso è mostrare che lo Spirito Santo, pur guidando i buoni e cristiani concili, ha permesso che vi fosse in essi qualche errore umano, per ricordarci che non dobbiamo porre eccessiva fiducia negli uomini. Questa affermazione è assai più blanda delle espressioni di Gregorio di Nazianzo il quale affermava non aver mai visto alcun buon risultato nascere da un concilio. Dichiarando infatti che tutti, senza eccezione, hanno avuto esito cattivo, non riconosce loro autorità alcuna. Non è neppure il caso di menzionare i concili provinciali; è facile dedurre infatti, da quanto è stato detto riguardo ai generali, quale autorità abbiano nello stabilire articoli di fede e nel proporre le dottrine che sembrano opportune ai vescovi quando si raccolgano in quella sede.
12. Ora i nostri romaniscoli vedendosi privati di ogni sostegno ragionevole, si trincerano dietro questo ultimo e infelice argomento: la parola di Dio che ci ordina di obbedire ai nostri superiori permane valida, quand'anche siano ignoranti e malvagi.
Che valore ha però questo argomento se neghiamo che costoro siano nostri superiori? Non è lecito infatti usurpare una dignità maggiore di quella che ebbe Giosuè, profeta di Dio ed eccellente pastore. Ascoltiamo con quali parole è stato istituito dal Signore nel suo ufficio: "Il libro della Legge non si diparta mai dai tuoi occhi, meditalo giorno e notte, non te ne sviare né a destra né a sinistra, affinché tu prosperi dovunque andrai " (Gs. 1.7-8). Considereremo dunque nostri superiori, in campo spirituale, coloro che non si allontaneranno dalla legge di Dio "né da un lato, né dall'altro ".
Se ci fosse richiesto, in realtà, di accogliere indifferentemente l'insegnamento di tutti i pastori, a che scopo la parola di Dio ci ammonirebbe così spesso e così severamente a non prestare orecchie alle dottrine dei falsi profeti e dei falsi pastori?: "Non ascoltate "dice per bocca di Geremia "le parole dei profeti che vi profetizzano. Essi vi pascono di cose vane, vi espongono le visioni del proprio cuore, e non ciò che procede dalla bocca dell'eterno " (Gr. 23.16). E ancora: "Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono a voi in vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci, " (Mt. 7.15). Senza ragione san Giovanni ci avrebbe invitati a provare gli spiriti per conoscere se sono da Dio (1 Gv. 4.1). Non debbono essere esentate da questa prova le menzogne del Diavolo poiché vi sono soggetti gli stessi angeli del paradiso. Il detto di nostro Signore che se un cieco guida un altro cieco tutti e due cadono nella fossa (Mt. 15.14) , non ci dimostra forse chiaramente che dobbiamo vagliare attentamente i pastori che ascoltiamo, e non è bene prestare ascolto a tutti, con leggerezza?
I loro titoli di autorità non ci impressionano al punto da accecarci come loro; vediamo, invece, con quanta cura nostro Signore ci ammonisce a non lasciarci ingannare ingenuamente dall'errore altrui, sotto qualsiasi forma, sia pur prestigiosa, si nasconda. Infatti la parola di Gesù Cristo è vera: tutti i conduttori ciechi, si chiamino vescovi, prelati, o pontefici, non possono che trascinare in una stessa rovina tutti coloro che li seguono. L'uso perciò di questa terminologia: concili, vescovi, prelati, che si può usare legittimamente quanto usurpare falsamente, non ci impedirà di esaminare ogni spirito al metro della parola di Dio per determinare se è da Dio.
13. Che la Chiesa non abbia l'autorità di creare nuove dottrine, è stato dimostrato, vediamo ora l'autorità che i papisti le attribuiscono nell'intepretare la Scrittura.
Sottoscriviamo certo pienamente l'idea che qualora sorga una contestazione su qualche articolo di fede, il miglior rimedio, e il più efficace, consista nella convocazione di un concilio di autentici vescovi per discutere la questione. Una decisione presa in comune accordo fra i pastori della Chiesa, dopo avere domandato la grazia dello Spirito Santo, avrà un peso assai maggiore che se ognuno di essi, separatamente, prendesse la propria risoluzione e la annunziasse al popolo, o quand'anche fossero soltanto due o tre a farlo.
Inoltre i vescovi raccolti insieme hanno l'occasione di discutere ed esaminare ciò che si debba insegnare e il modo di insegnarlo affinché la diversità di opinioni non causi scandali.
In terzo luogo san Paolo ci mostra che tale è la procedura da seguire per pronunciare un giudizio in materia di dottrina. Attribuendo ad ogni Chiesa il compito di giudicare (1 Co. 14.29) egli mostra qual debba essere il procedimento da seguire qualora la cosa non sia risolta: le Chiese si debbono radunare insieme per effettuare un esame comune. E il senso stesso della fede ci conduce a seguire questa prassi: qualcuno turba una Chiesa spargendo dottrine insolite e nuove e la cosa giunge al punto da far temere l'insorgere di un contrasto più grave? Le Chiese si devono raccogliere per esaminare la questione, e dopo aver discusso, prendano, traendola dalla Scrittura, una decisione, che tolga ogni dubbio al popolo e chiuda la bocca a coloro che provocano il sorgere di dispute a causa del loro orgoglio e della loro ambizione.
In questo modo, quando Ario iniziò la sua eresia, fu convocato il concilio di Nicea affinché, in base all'autorità comune dei vescovi l'audacia di quell'uomo perverso venisse denunciata e le Chiese, da lui turbate, fossero ricondotte alla pace e la sua eresia fosse sradicata, come avvenne appresso. Poco dopo, avendo Eunomio e Macedonio altri eretici, provocate nuove dispute, si oppose loro resistenza nello stesso modo convocando il concilio di Costantinopoli Il primo concilio di Efeso si tenne per distruggere l'eresia di Nestorio . Tale è stata, in breve, la procedura ordinaria per conservare l'unità delle Chiese, sin dal principio, ogni qual volta il Diavolo aveva preso ad ordire qualche plano.
Da notare che non si trovano in ogni tempo e in ogni luogo uomini della statura di Atanasio, Basilio, Cirillo e simili difensori della retta dottrina, quali nostro Signore aveva suscitato allora. Ci si ricordi anzi quanto accadde al secondo concilio di Efeso, dove venne accolto favorevolmente l'eretico Eutiche, mentre il santo vescovo Flaviano fu bandito con i suoi aderenti in quanto si opponeva a quello, e furono commesse altre malvagità: questo accadde perché a precedere quel concilio era Dioscoro, uomo sedizioso e di cattiva volontà, non lo Spirito di Dio. Qualcuno mi farà notare che questa non era la Chiesa. Lo ammetto; ho infatti la convinzione che la verità non muore e non viene soffocata nella Chiesa anche quando risulti calpestata in un concilio, anzi viene miracolosamente serbata da Dio per riprendere a suo tempo il sopravvento. Ciò che contesto però è che si debba considerare vera l'affermazione secondo cui ogni interpretazione, per il fatto di essere approvata da un concilio, sia esatta e conforme alla Scrittura.
14. Altro è però il fine cui tendono i romanisti nel rivendicare ai concili autorità assoluta, senza appello, nell'interpretazione della Scrittura; si valgono di questa garanzia per definire interpretazione scritturale ogni decisione conciliare.

Non si trova nella Scrittura neppure il minimo cenno al Purgatorio, all'intercessione dei santi, alla confessione auricolare e a tutte quelle sciocchezze. In quanto però queste cose sono state definite dall'autorità della Chiesa, come dicono, cioè, per parlar chiaro, sono state introdotte dall'uso e dalla tradizione, si dovranno considerare frutto dell'interpretazione della Scrittura. Non solo, ma se in un concilio venisse stabilito qualcosa in aperto contrasto con la Scrittura, anche a questo si dovrà dare valore di interpretazione scritturale.
Gesù Cristo ordina a tutti di bere il calice nella Cena (Mt. 26.26) , il concilio di Costanza ha proibito di darlo al popolo e ha stabilito che bevesse il solo sacerdote officiante . Pretenderebbero farci considerare interpretazione della Scrittura una cosa che contrasta in modo così evidente con l'istituzione di Gesù Cristo? San Paolo definisce dottrina diabolica (1 Ti. 4.1) la proibizione del matrimonio. Ed in un altro testo lo Spirito Santo dichiara che il matrimonio è condizione santa e degna di essere onorata (Eb. 13.4). Il divieto di sposarsi fatto ai preti, secondo costoro dovrebbe essere interpretazione della Scrittura anche se non si può immaginare nulla di più assurdo. Uno osa aprir bocca per dire una parola? Viene definito eretico perché le decisioni della Chiesa sono inappellabili e non si deve avere il minimo dubbio sulla verità di tutte le sue interpretazioni. Che potrei dire contro tale spudoratezza? Mi basterà averla smascherata.
Riguardo a quella assurda diceria, secondo cui la Chiesa avrebbe potestà di approvare la Scrittura, preferisco non parlarne, a ragion veduta. Il voler sottomettere in questo modo la sapienza di Dio all'approvazione umana, quasi non avesse autorità se non in quanto aggrada loro, è bestemmia indegna di essere anche soltanto menzionata. Inoltre ho trattato il problema nel primo libro . Pongo solo una domanda: se l'autorità della Scrittura è fondata sull'approvazione della Chiesa, quale decreto conciliare posso citare a sostegno di questa tesi? Non mi risulta ve ne siano. Come avrebbe potuto Ario accettare di essere refutato, a Nicea, sulla base di una citazione dell'evangelo di san Giovanni? Infatti, secondo questo argomento dei papisti, avrebbe avuto pieno diritto di respingere il testo, visto che la Scrittura non aveva ancora ricevuto sanzione da parte di un concilio universale. Citano allora quel catalogo antico, detto il Canone della Scrittura, frutto secondo loro della definizione ecclesiastica. A questo punto ripropongo la domanda: in quale concilio quel canone e stato composto? E sono costretti al silenzio. Anche se per conto mio avrei piacere di saper più ampiamente cosa sia in sostanza questo canone poiché constato che fra gli antichi non era definito. Se il parere di san Girolamo è autorevole, dobbiamo considerare apocrifi i libri dei Maccabei, la storia di Tobia, l'Ecclesiastico e altri simili scritti. Questo però non è ammesso da questa brava gente.
CAPITOLO 10
LA POTESTÀ DELLA CHIESA NEL FARE E STABILIRE LEGGI: IN CHE MODO IL PAPA E I SUOI HANNO ESERCITATO UNA CRUDELE E INFERNALE TIRANNIA SULLE ANIME
1. Esaminiamo ora il secondo elemento dell'autorità ecclesiastica che i Papisti vogliono far consistere nell'imporre leggi a loro piacimento. Da questa fonte hanno tratto origine infinite tradizioni che sono diventate altrettanti lacci per strangolare le povere anime. Poiché, come già i Farisei, non si fanno scrupolo di porre sulle spalle del popolo pesi insopportabili che non vorrebbero neppure toccare Cl. Dito (Mt. 24.4). Ho già illustrato altrove quanto profonda e crudele sia la tortura rappresentata dalla prassi, imposta a tutti, di confessare i propri peccati all'orecchio del prete. Una forma di violenza così grave non si riscontra, è vero, in tutte le loro leggi; anche quelle, però, che sembrano più tollerabili non mancano di opprimere tirannicamente le coscienze; tralascio dal far notare come tali leggi imbastardiscano la fede cristiana e sottraggano a Dio stesso il diritto che gli spetta di essere unico legislatore.
Questo è il problema che abbiamo ora a considerare: se sia lecito alla Chiesa vincolare le coscienze a leggi che stabilisce a suo piacimento. In questo dibattito non prendiamo in considerazione le norme che costituiscono il governo ecclesiastico, il problema consiste solo in questo: che Dio sia servito con purezza e fedelmente secondo gli ordini che ha dato egli stesso, e la libertà spirituale permanga garantita. Nel linguaggio comune ogni norma legislativa concernente il servizio di Dio, quando sia emanata dagli uomini, è detta tradizione umana. Quelle sono le leggi contro cui dobbiamo combattere, non le norme sante e utili che servono a garantire umiltà e rettitudine e a mantenere la pace.
Lo scopo di questa battaglia è porre un freno al dominio eccessivo e inumano imposto alle povere anime da questa gente che si pretende pastore ed è diventata boia crudele. Pretendono infatti che leggi da essi emanate siano spirituali e concernano l'anima, affermando che sono necessarie alla vita eterna. Viene, in tal modo, assalito e violentato il regno di Cristo e la libertà da lui concessa alle coscienze dei credenti risulta soffocata ed annientata.
Tralascio per ora l'esame dell'empio principio su cui fondano l'osservanza delle loro leggi, affermando che in virtù di queste si acquista redenzione dei peccati e giustizia, e facendo consistere in queste la religione intera. Mi limiterò ora ad esaminare questo solo punto: non si devono imporre alle coscienze obblighi riguardo alle cose da cui le ha liberate Gesù Cristo e violare quella libertà, senza la quale, come abbiamo sopra dimostrato, non possono avere pace con Dio. Devono riconoscere quale unico re e liberatore il Cristo, essendo governate dalla sola legge della libertà, rappresentata dalla sacra parola dell'evangelo, per poter mantenere la grazia che fu ottenuta una volta in Gesù Cristo, e non devono essere sottoposte ad alcuna schiavitù né esser vincolate da alcun legame.
2. Questi legislatori vogliono far credere che le loro costituzioni siano leggi di libertà, giogo facile, peso leggero . Chi non si accorge, però, che sono semplicemente menzogne? Per conto loro non avvertono il peso delle loro leggi, visto che avendo respinto ogni timor di Dio, disprezzano con egual libertà le proprie leggi e quelle di Dio. Coloro però che si preoccupano della propria salvezza sono lungi dal considerarsi liberi, finché si vedono vincolati dai loro legami.

Constatiamo invece che san Paolo ha evitato, con cura estrema, di opprimere le coscienze, al punto di non osar vincolarle neppure in una sola questione (1 Co. 7.35). Non senza ragione. Egli sapeva che l'imporre obblighi alle coscienze, riguardo alle cose che Dio ha lasciate alla loro libertà, equivale a ferirle mortalmente. Saremmo invece in grave imbarazzo se volessimo enumerare le leggi vincolanti emanate da costoro sotto pena di dannazione eterna e la cui osservanza viene richiesta come rigorosamente necessaria alla salvezza. Non poche sono, in se stesse, difficili da osservare, quando però si assommano, la pratica risulta impossibile, tanta ne è la mole. Come potranno, quelli che sono caricati da così gravi e pesanti pesi, non essere tormentati da terribili angosce e perplessità?
Riaffermo dunque la mia intenzione di polemizzare, qui, contro le leggi create e fabbricate per vincolare le anime riguardo a Dio e caricarle di scrupoli, quasi la pratica ne fosse indispensabile.
3. Molti si trovano imbarazzati, nell'affrontare questo problema, non distinguendo in modo sufficientemente chiaro, tra il giudizio di Dio, spirituale, e la giustizia terrena degli uomini. La difficoltà risulta ancora accresciuta, per loro, dal fatto che san Paolo ordina di ubbidire ai magistrati, non solo per paura di punizione, ma per motivo di coscienza (Ro 13.1). Da cui consegue che le coscienze sono anche sottoposte alle leggi civili. Se le cose stanno così, quello che abbiamo già detto nel capitolo precedente e quello che ci resta da dire, circa il regime spirituale, sarebbe annullato.
È necessario sapere in primo luogo, per sciogliere questo nodo, che cosa si debba intendere per coscienza. Una comprensione generale può ricavarsi dal termine stesso: "scienza "è l'apprendimento o la conoscenza di ciò che gli uomini conoscono secondo lo spirito che è dato loro. Quando dunque essi provano una reazione o un rimorso di fronte al giudizio di Dio, quasi fossero in presenza di un testimone posto loro accanto che non lascia loro nascondere i peccati ma anzi li sollecita a sottomettersi al giudizio divino, questo si definisce "coscienza ". Si tratta infatti di una "conoscenza "posta tra Dio e l'uomo che non permette a colui che vorrebbe cancellare le sue colpe, di dimenticare, ma lo segue per fargli sentire che è colpevole. È quanto pensa san Paolo, affermando che la coscienza rende testimonianza agli uomini, in quanto i loro pensieri li condannano o assolvono davanti a Dio (Ro 2.15). Una pura e semplice conoscenza rischierebbe di essere soffocata in un uomo. Perciò questo sentimento che cita l'uomo e lo conduce dinanzi al tribunale di Dio è come un custode che gli vien dato per mantenerlo vigile, e sorvegliarlo, e svelare tutto quello che egli sarebbe lieto di nascondere, qualora ne avesse la possibilità. Ecco donde è venuto il proverbio antico che la coscienza è come mille testimoni.
Per la stessa ragione san Pietro considera che la voce di una buona coscienza è riposo e tranquillità di spirito (1 Pi. 3.21) , per un credente, quando, fondandosi sulla grazia di Cristo, si presenta liberamente davanti a Dio. E l'Apostolo nella epistola agli Ebrei, dicendo che i credenti non hanno più coscienza di peccato, intende significare che ne sono liberati e assolti non conoscendo più i rimproveri del rimorso (Eb. 10.2).

4. Gli uomini sono oggetto delle nostre opere, così la coscienza ha in Dio la sua meta. Una buona coscienza non è perciò altro che l'integrità interiore del cuore. È a questo riguardo che san Paolo dice che il compimento della Legge è amore procedente da una buona coscienza e fede non finta (1 Ti. 1.5). In un altro testo dimostra in che cosa essa differisca da una semplice conoscenza, affermando che alcuni sono scaduti dalla fede perché si erano allontanati dalla retta coscienza. Con queste parole Egli intende dire che la coscienza è un vivo sentimento di onore verso Dio e un impegno cosciente a vivere in modo santo e puro.
Il termine "coscienza "si riferisce, a volte, ad una realtà nell'ambito umano, come nel testo degli Atti dove san Paolo dice che si è esercitato a camminare del continuo dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini con una coscienza pura (At. 24.16). Questo si deve intendere nel senso che le manifestazioni esteriori, che procedono dalla coscienza, si prolungano sul piano umano.
In senso proprio, però, la coscienza, come ho detto sopra, ha in Dio il suo metro e il suo orientamento. Diciamo perciò che una legge vincola le coscienze, nel senso che impegna l'uomo in un modo assoluto e definitivo, senza riguardo al suo prossimo, come se avesse a che fare con Dio soltanto. Per esempio: Dio ci ordina di avere il cuore puro da ogni impudicizia, ma anche di guardarci da ogni parola impura e da ogni atto dissoluto che conduca all'incontinenza. Quand'anche non vi fosse in terra anima viva sono tenuto, in coscienza, ad osservare tale legge. Perciò se mi lascio andare a commettere qualche atto di impudicizia, non pecco solo in quanto reco scandalo ai miei fratelli, ma mi rendo colpevole davanti a Dio, in quanto ho trasgredito tutto ciò che egli mi aveva proibito nel rapporto tra lui e me.
Altra considerazione si può fare riguardo alle cose indifferenti, di cui ci dobbiamo astenere, in quanto potremmo offendere i nostri fratelli pur mantenendo una coscienza libera e franca. Come dimostra san Paolo, parlando delle carni sacrificate agli idoli: "Se qualcuno "dice "se ne fa scrupolo, non ne mangiare per motivo di coscienza: riguardo a quella del tuo prossimo, non alla tua " (1 Co. 10.28-29). Il credente avvertito commetterebbe peccato, scandalizzando il prossimo in una questione di cibo; quantunque Dio gli ordini di astenersi dal mangiare tale carne, per amore del suo prossimo, ed egli sia tenuto a sottostare, tuttavia la sua coscienza non cessa per questo di essere sempre libera. Questo ordinamento non impone dunque vincoli se non riguardo all'atto esteriore e lascia libera la coscienza.
5. Torniamo ora alle leggi umane. Qualora pretendano di sottometterci in modo assoluto, in questo caso le coscienze sono gravate oltre il dovuto perché debbono essere rette e giudicate dalla sola parola di Dio dovendo render conto a lui e non agli uomini. E, in realtà, tale è stato il significato della distinzione popolare, avutasi in tutte le scuole: una cosa essere la giurisdizione umana e civile, altra quella che concerne la coscienza. Quantunque il mondo sia stato immerso nelle tenebre di una terribile ignoranza, pure questa tenue luce si è mantenuta: che cioè la coscienza si muove nel campo di una giurisdizione particolare, superiore al giudizio degli uomini. È vero che, pur confessando questo a parole, lo si negava nella pratica; Dio però ha voluto che sussistesse sempre una qualche testimonianza della libertà cristiana per liberare dalla tirannia degli uomini le coscienze.
La difficoltà che abbiamo notato più sopra, riguardo alle parole di san Paolo, non è però risolta; bisogna infatti ubbidire ai prìncipi, non solo per timore del castigo ma per motivo di coscienza, sembra derivare, come conseguenza, che le leggi dei prìncipi reggono le coscienze per tenerle vincolate. Se questo è vero, altrettanto deve dirsi delle leggi ecclesiastiche.
In primo luogo conviene effettuare una distinzione fra il genere e la specie. Poiché quantunque ogni singola legge non impegni la coscienza, siamo tuttavia, tenuti, ad osservarle per una motivazione generale, a causa del comandamento di Dio che ha approvato e stabilito l'autorità dei magistrati. È questo un punto su cui san Paolo insiste in tutta la sua trattazione: occorre onorare il magistrato in quanto è stabilito da Dio (Ro 13.1).
Nondimeno egli non insegna che le leggi o gli statuti da essi emanati appartengano al governo spirituale delle anime, perché in ogni caso, egli mantiene fermo il principio che il solo servizio di Dio costituisce la norma di vivere bene e santamente. In quanto la realtà spirituale, come la si definisce, è da porsi al di sopra di ogni decreto e di ogni statuto umano.
Un secondo punto è da prendersi in considerazione, che deriva dal primo: tutte le leggi umane (intendo quelle rette e giuste ) non vincolano affatto la coscienza in quanto l'obbligo di osservarle non si deve ricercare nelle cose comandate, quasi fosse peccato in se fare questo o quello, ma nel fatto che ogni cosa deve essere orientata al fine generale di far sussistere tra noi ordine e buon governo. Ogni legge perciò che, in qualche modo, imponga di servire Dio oltre alle affermazioni della sua parola o imponga obblighi normativi riguardo alle cose libere o indifferenti è lungi da quel fine.
6. Ora tutte le leggi dette oggi, nel papismo, ecclesiastiche, che si pretendono necessarie per onorare e servire Dio rettamente, sono di tale natura. Dato il loro numero immenso rappresentano altrettanti vincoli per tenere le anime prigioniere. Quantunque già se ne sia fatto cenno nell'esposizione della Legge tuttavia, dato che questa sede risulta più adatta per una ampia trattazione, cercherò di raccogliere in breve i dati del problema presentandolo nel miglior ordine possibile. Avendo anche, in precedenza, parlato ampiamente della licenza che i falsi vescovi si attribuiscono di insegnare dottrine e inventare articoli di fede a loro piacimento, tralascio questo problema e mi limiterò a parlare dell'autorità, che essi si vantano possedere per emanare leggi e decreti.
La scusa cui ricorrono il Papa e i suoi vescovi mitrati, per opprimere le coscienze con nuove leggi è questa: essi sono stabiliti, dal Signore, legislatori spirituali in quanto è ]oro affidato il governo della Chiesa. Tutto quello che comandano e ordinano deve essere perciò osservato, necessariamente, essi dicono, da tutto il popolo cristiano, e colui che avrà disubbidito è colpevole di una doppia disobbedienza in quanto si ribella a Dio ed alla Chiesa . Qualora fossero vescovi veri sarei disposto a conceder loro qualche autorità, non nella misura da essi richiesta, ma quanto basta per mantenere il governo della Chiesa. Dato però che sono tutto, fuorché quello che pretendono essere, per quanto minime siano le loro richieste risultano già eccessive.
Tuttavia, avendo già dimostrato che razza di gente sia e in quale considerazione li si debba tenere, concediamo loro, per il momento, che si possa attribuire loro tutta quell'autorità che spetta ai veri vescovi. Anche ammettendo questo, contesto, tuttavia, che si possano considerare stabiliti quali legislatori sui credenti per decretare a loro piacimento norme di vita o costringere il popolo a mantenere i loro statuti e i loro decreti. Intendo dire che non hanno affatto il diritto di imporre alla Chiesa l'osservanza di ciò che essi hanno stabilito, da se, senza la parola di Dio, e renderlo vincolante. Considerando il fatto che tale autorità è sconosciuta agli apostoli e che Dio l'ha così spesso ed esplicitamente negata ai ministri della sua Chiesa, mi stupisco che abbiano potuto usurparla contravvenendo al divieto di Dio, così manifesto, e ancor più che osino oggi rivendicarla.
7. Il Signore ha incluso nella sua legge tutto ciò che concerne una retta norma di vita in modo da non lasciare agli uomini nulla da aggiungere. Ha agito in questo modo per due motivi. Il primo è questo: dato che ogni santità e ogni giustizia consiste nel fatto che la nostra vita sia conforme alla sua volontà, come all'unica norma di ogni retto agire, è giusto che lui solo abbia autorità e governo su di noi.
Il secondo motivo è questo: egli ha voluto dimostrare che nulla ci richiede più dell'obbedienza.
Per questo motivo san Giacomo dice: "Chi giudica suo fratello, giudica la Legge; chi giudica la Legge non è osservatore ma giudice. Uno solo è il legislatore che può salvare e perdere " (Gm. 4.2). Vediamo in questo testo che Dio si attribuisce queste cose in privilegio particolare: governarci con la sua autorità e le sue leggi. Questa affermazione era stata fatta in precedenza da Isaia: "Il Signore è il nostro giudice, il Signore e il nostro legislatore, il Signore è il nostro re, egli è colui che ci salva " (Is. 33.22). Nei due testi viene chiaramente mostrato che Dio solo tiene nelle sue mani la vita e la morte in quanto ha autorità sull'anima. Anche san Giacomo lo dichiara apertamente. Nessun uomo ha dunque il potere di usurpare questo diritto. Si deve, in conseguenza, considerare quale Signore dell'anima nostra soltanto Dio che ha solo autorità di salvare o condannare, ovvero, secondo le parole d'Isaia, bisogna riconoscerlo quale re, giudice, legislatore, e salvatore. Perciò san Pietro, ricordando ai pastori il loro compito, li esorta a pascere il gregge in modo da non esercitare dominio sulle eredità (1 Pi. 5.2).
Con questo termine "eredità "indica il popolo che Dio si è acquistato per suo possesso. Se consideriamo attentamente il fatto che non è lecito trasferire all'uomo mortale ciò che Dio attribuisce a se, comprenderemo che deve essere eliminata quell'autorità che vogliono attribuirsi coloro che pretendono innalzare se stessi per sottomettere la Chiesa ai propri statuti.
8. Tutto il problema si deve ricollegare al fatto che, essendo Dio solo nostro legislatore, non è lecito all'uomo mortale usurpare questa dignità; dobbiamo dunque porre mente ai due motivi addotti, in base ai quali Dio attribuisce a se stesso questa autorità.
Il primo è che la sua volontà deve essere considerata norma perfetta di ogni giustizia e santità, e pertanto la scienza del vivere rettamente consiste nel conoscere ciò che a lui piace.
Il secondo è che, riguardo al modo di servirlo bene e rettamente, egli deve essere riconosciuto quale unica autorità delle anime nostre, avendo l'autorità di comandare e il nostro dovere consiste nell'obbedirgli.
Quando queste due motivazioni siano chiaramente impresse nella mente, ci sarà facile discernere qual siano le costituzioni umane estranee alla parola di Dio. Tutte quelle cioè che si pretende concernino il vero culto di Dio ed alle quali si vuol sottomettere le coscienze, dando loro carattere di necessità. Ci si ricordi dunque di pesare con questa bilancia ogni decreto e statuto umano se vogliamo effettuare un esame sicuro e infallibile della questione.
San Paolo, nella lettera ai Colossesi, si vale della prima motivazione combattendo contro i falsi profeti che volevano imporre nuovi pesi alla Chiesa (Cl. 2.8). Nella lettera ai G alati, pur dovendo risolvere una questione analoga, insiste maggiormente sul secondo punto. Nella lettera ai Colossesi sostiene dunque che non bisogna ricevere dagli uomini la dottrina dell'autentico culto di Dio, visto che egli ci ha fedelmente e sufficientemente istruiti circa il modo di servirlo. Per dimostrare questo, esamina nel capitolo primo come tutta la sapienza, che conduce l'uomo alla perfezione davanti a Dio, sia contenuta nell'evangelo. All'inizio del secondo capitolo dichiara che tutti i tesori della sapienza e dell'intelligenza sono nascosti in Cristo. Conclude che i credenti debbono evitare attentamente di allontanarsi dal gregge di Cristo seguendo una filosofia vana, fondata su leggi umane. Poi, alla fine del capitolo va oltre, condannando ogni "culto volontario ", come egli lo chiama, culto cioè che gli uomini abbiano inventato da se o preso da altri, e in genere ogni comandamento inventato dagli uomini in vista di servire Dio. Abbiamo dunque qui un punto fermo; ogni legislazione nella cui osservanza si vuol far consistere il servizio di Dio, è nociva.
Gli argomenti cui ricorre nell'epistola ai G alati per dimostrare che non è lecito sottomettere le coscienze, che debbono invece esser governate da Dio solo, sono comprensibili a tutti e rinvio perciò i lettori al capitolo quinto.
9. Questo problema sarà risolto più facilmente sulla base di esempi, è perciò opportuno, prima di procedere oltre, porre in riferimento questa dottrina con i tempi nostri.
Noi affermiamo che le costituzioni con cui il Papa e la sua banda gravano la Chiesa sono cattive e perniciose, i papisti le considerano invece sante ed utili. Si tratta di costituzioni di due tipi. Le une sono cerimonie, le altre concernono più direttamente la disciplina. Abbiamo motivi validi per riprovare sia le une che le altre? Sono più numerose di quanto vorrei.
In primo luogo coloro che le emanano non pretendono forse, in modo chiaro ed esplicito, che il vero culto vi è incluso? Che scopo attribuiscono alle loro cerimonie se non il servizio di Dio? Questo non accade solo nel caso di persone ignoranti o del popolino, ma con l'approvazione dei responsabili e dei prelati. Non faccio ancora menzione delle enormi abominazioni con cui hanno cercato di annullare ogni autentica pietà. È certo però che non considererebbero peccato mortale e senza remissione la violazione delle minime tradizioni, frutto della loro inventiva, qualora non avessero la pretesa di sottoporre ad esse il culto di Dio.
In che consiste la nostra colpa? Non poter oggi tollerare ciò che san Paolo afferma non dover essere tollerato: l'adeguare il culto di Dio alla libertà degli uomini. Soprattutto quanto ordinano di servire Dio in cose puerili, cioè esteriorità, che egli dichiara contrarie a Cristo. È notorio invece che vincolano le coscienze ad una osservanza riverenziale dei loro ordinamenti. Nel contraddire a questa prassi, ci troviamo, nella stessa battaglia, in compagnia di san Paolo; egli infatti non permette che le coscienze dei credenti siano in alcun modo sottoposte alla schiavitù degli uomini.
10. C'è però di peggio, da quando si cominciò a far consistere la religione in queste vane tradizioni fece immediatamente seguito a questa perversità un'altra deplorevole maledizione, che già Cristo rimproverava ai Farisei: il comandamento di Dio è disprezzato e annullato per l'osservanza dei precetti umani (Mt. 15.3). Non intendo polemizzare con i nostri attuali legislatori, ricorrendo ad argomenti miei. Do loro partita vinta se possono giustificare che quest'accusa di Cristo non si riferisca proprio a loro. Come potranno fare? Non è per loro peccato mille volte più grave il non essersi confessati una volta all'anno nelle orecchie di un prete, che l'aver vissuto tutto l'anno una vita dissoluta? L'aver toccato con la punta della lingua carne di venerdì più che l'aver insozzato le proprie membra ogni giorno con atti immorali? L'aver messo mano a qualche opera utile e in se legittima, in un giorno festivo dedicato a qualcuno dei loro santi canonizzati, più che l'aver impegnato il proprio corpo in cattive azioni, nel corso di una intera settimana? Per un prete l'esser unito in legittimo matrimonio più che esser colpevoli di mille adulteri? Il non aver adempiuto un voto in un pellegrinaggio più che il tradire la parola data in ogni occasione? Il non aver offerto il proprio denaro per gli inutili addobbi delle Chiese, più che l'aver lasciato un povero nel bisogno? L'esser passati davanti a un idolo senza togliersi il berretto più che l'aver offeso tutti gli uomini della terra? Il non aver borbottato a ore fisse del giorno lunghe litanie prive di senso più che non aver pregato con leale sentimento? Che cosa si deve intendere, per "annullare il comandamento di Dio a motivo delle tradizioni proprie "se non questo? Questo presentare con distacco l'osservanza dei comandamenti di Dio, dandola per scontata e richiedere invece la obbedienza assoluta alle proprie leggi, con tanta cura, quasi ogni fonte di pietà vi fosse inclusa? Il punire con ammende irrilevanti la trasgressione della legge di Dio ma con carcere, fuoco, spada la trasgressione di uno solo dei loro decreti? Questa facilità a perdonare agli spregiatori di Dio, unita al perseguitare i propri con odio inesorabile fino alla morte? L'educare coloro che tengono prigionieri nell'ignoranza in modo tale che preferirebbero vedere rovesciata tutta la legge di Dio piuttosto che un solo punto del cosiddetto comandamento della Chiesa?
È anzitutto evidente che si è fuor della retta via quando per cose leggere e (considerate dal punto di vista di Dio ) indifferenti, uno condanna, critica e respinge un'altro. Ora (quasi non ci fosse abbastanza male in questo ) tali elementi formali del mondo (come li chiama san Paolo ) (Ga 4.9) sono valutati più che gli ordini celesti di Dio. Colui che è assolto dal peccato di adulterio viene condannato a causa di un cibo. Una donna legittima è vietata ad uno, cui è invece concesso una prostituta. Questo è il frutto di quella obbedienza, piena di prevaricazioni, che tanto si allontana da Dio quanto si adegua agli uomini.
2. Ci sono in queste leggi due altri difetti da notare, e non di poco conto. Il primo: ci inducono a trastullarci con pratiche in gran parte inutili e a volte anche sciocche ed irragionevoli.
Il secondo: tale ne è la moltitudine che le coscienze dei credenti ne sono oppresse e, riducendosi a vivere una sorta di Giudaismo, a tal punto si soffermano alle ombre, da non poter giungere a Cristo.
Definendole inutili e sciocche so ben di non trovar credito presso una mentalità carnale; poiché i sensi naturali dell'uomo vi trovano sommo piacere e quando le si sopprimono si ha l'impressione che la Chiesa tutta sia distrutta. Questo è però quanto dice san Paolo affermando che sono apparenza di sapienza in quanto sembrano servire Dio ed esercitare all'umiltà e alla disciplina (Cl. 2.23). Egli ci rivolge con questo un utile ammonimento, che deve essere impresso chiaramente nella nostra memoria.
Le costituzioni umane, dice, hanno apparenza di sapienza per ingannarci. In che senso, chiediamo? In quanto sono foggiate dall'uomo, risponde; l'intendimento umano, ritrova in esse ciò che è suo, e perciò le accoglie molto più volentieri di quanto farebbe con altre cose, molto più opportune, ma che non concordano con la sua follia e la sua vanità. In secondo luogo risponde che l'accoglienza è determinata dal fatto che pensiamo avere in esse un buon esercizio ad umiltà. Infine perché sembrano atte a porre freno ai piaceri della carne in quanto hanno una apparenza di ascesi. Avendone enumerati gli aspetti, le accetta ovvero ne maschera la falsa apparenza? Al contrario, considerando che a condannarle era sufficiente il fatto che si tratta di invenzioni umane, non le degna di più ampia critica sapendo che ogni culto inventato in base ai desideri dell'uomo, è nella Chiesa da respingersi e deve essere tanto più sospetto ai credenti che, solitamente, piace agli uomini; sapendo anche che la differenza tra la vera umiltà e la falsa imitazione è tale da rendere facile il discernere l'una dall'altra, ed infine sapendo che la disciplina di cui parla deve essere considerata puro esercizio corporale. Ha elencato queste cose per negare il valore di ogni tradizione umana fra i credenti quand'anche goda, in quanto tale, di somma dignità fra gli uomini.
12. Così oggi, non solo il popolino, ma anche coloro che si considerano savi secondo il mondo, prendono sommo piacere a far uso di una gran pompa nelle cerimonie. Agli ipocriti e alle donne sciocche, bigotte per natura, nulla sembra essere più bello o da preferirsi.
Coloro però che esaminano più da vicino e valutano rettamente il valore di tutti questi riti, comprendono che si tratta di roba inutile in quanto non ne deriva alcun vantaggio. Si tratta, in secondo luogo, di abusi e di inganni in quanto si accecano così gli occhi per condurre l'uomo nell'errore. Mi riferisco alle cerimonie in cui i Romanisti vogliono far credere vi siano nascosti sommi misteri. Constatiamo invece trattarsi di cose ridicole, e non stupisce che quelli che le hanno inventate siano caduti in questa follia al punto da prendervi piacere e trascinare gli altri in queste sciocchezze. Vengono così imitate in parte le folli fantasticherie dei pagani, in parte le prescrizioni della legge mosaica, che non ci concernono più di quanto ci concernino i sacrifici di animali e cose simili; e tutto questo hanno imitato, senza discernimento come scimmie. Quand'anche non ci fossero altri argomenti è evidente che da una accozzaglia del genere non ci si può aspettare nulla di valido. Ed è assolutamente evidente che la maggior parte delle cerimonie papiste non hanno altro scopo che di instupidire il popolo anziché educarlo.
Gli ipocriti tengono in grande stima questi nuovi canoni e li considerano di somma importanza, quantunque siano più atti a rovesciare la disciplina che a mantenerla. Se infatti li si esamina da vicino, si constata che non sono altro che apparenze prive di verità.
13. Esaminando l'altro punto da me menzionato, chi non si rende conto che le tradizioni accumulate le une sulle altre sono tante che il numero è cresciuto a dismisura, al punto da diventare intollerabile nella Chiesa cristiana? Poiché nelle cerimonie si manifesta uno spirito di vero Giudaismo, ma le altre pratiche sono un autentico inferno per tormentare crudelmente le povere coscienze.
Sant'Agostino si lamentava, al tempo suo, che il disprezzo per i comandamenti di Dio fosse tale che se uno avesse camminato scalzo nell'ottava del suo battesimo, veniva rimproverato più severamente che chi si fosse ubriacato. Si lamentava altresì che la Chiesa, voluta da Dio libera, fosse a tal punto oppressa e gravata da regolamenti e statuti da rendere la condizione dei Giudei preferibile. Tornasse a vivere al giorno d'oggi, che dovrebbe dire questo sant'uomo della condizione di sciagurata servitù in cui ci troviamo? Poiché il numero delle cerimonie è decuplicato da allora. E si insiste cento volte più severamente su tutti i punti di quanto si facesse allora. Di fatto accade sempre così: quando gli uomini si sono impadroniti del dominio delle anime, non desistono dal creare comandamenti nuovi, e nuovi divieti, finché abbiano esteso a dismisura la loro tirannia; san Paolo definisce molto bene questo fatto quando dice: "se siete morti agli elementi del mondo, perché vi lasciate imporre dei precetti, come se viveste nel mondo? Non toccare, non assaggiare, non mangiare! " (Cl. 2.20-21). Molto acutamente individua in queste parole la procedura dei seduttori che iniziano con la superstizione proibendo di mangiare un determinato cibo, anche in quantità minima. Dopo aver ottenuto questo punto ne proibiscono anche l'assaggio; si concede loro questo? Fanno credere che non è lecito neppure toccarlo.
14. Rifiutiamo dunque, oggi, con pieno diritto, questa tirannia delle tradizioni umane: il fatto cioè che misere coscienze siano incredibilmente tormentate da infinite norme, alla osservanza delle quali la gente è rigorosamente tenuta.
Riguardo ai canoni disciplinari si è detto più sopra.
Che dire riguardo alle cerimonie? Non ci sono di alcun vantaggio, se non per farci regredire alle forme giudaiche seppellendo nostro Signore Gesù. "Il Signore "dice sant'Agostino "ha ordinato pochi sacramenti, eccellenti in quanto al significato e facili da osservare ". Quale contrasto si trova ora tra questa semplicità e la varietà delle pratiche sotto cui è sepolta la Chiesa! Conosco gli argomenti con cui alcuni pretendono giustificare questa corruzione. Affermano che vi sono fra noi persone altrettanto ignoranti quanto vi erano in Israele, ed è per costoro che sono state introdotte queste forme puerili, di cui i sapienti e i forti possono fare a meno, ma che non debbono disprezzare, riconoscendone la utilità per i loro fratelli.
Siamo ben consci delle implicazioni che ha per la vita di ogni credente la debolezza dei suoi prossimi, ma non è certo il modo di venire incontro alla debolezza degli ignoranti quello di imporre loro una quantità di cerimonie tale da opprimerli. Non senza ragione Dio ha posto questa differenza tra l'antico popolo e noi, scegliendo di educare quello con segni e figure, come si fa con i piccoli bambini, e usando con noi mezzi più semplici nell'abolire queste forme esteriori. "Come un bambino "dice san Paolo "è educato e mantenuto in condizione di disciplina dal suo pedagogo, secondo la capacità della sua età, così i Giudei sono stati condotti sotto la Legge " (Ga 4.1-3). Noi però siamo simili a uomini, che, usciti dall'infanzia, non hanno più bisogno di essere sotto tutela e sotto disciplina. Certo il Signore prevedeva quale sarebbe stata la media del popolo cristiano e come sarebbe stato necessario giudicarlo, tenendo conto della sua ignoranza. Tuttavia ha posto tra noi e i Giudei quella differenza che abbiamo detto. È perciò assurdo, nel caso nostro, voler restaurare, per venire incontro ai semplici, forme giudaiche che sono state abolite e annullate da Cristo.
Questa diversità fra noi ed il popolo antico risulta anche evidente nel dialogo fra il Signore Gesù e la samaritana quando egli dice: "il tempo è venuto in cui i veri adoratori di Dio lo adoreranno in Spirito e verità " (Gv. 4.23). Questo era certo sempre accaduto, ma i credenti del nuovo Patto differiscono dagli antichi padri in questo: l'adorazione spirituale di Dio era nel tempo della Legge espressa da cerimonie e quasi nascosta in esse; ora adoriamo Dio con semplicità in quanto il velo del Tempio è stato squarciato con tutte le implicazioni. Coloro, pertanto, che annullano queste differenze, capovolgono l'ordine istituito da Gesù Cristo. Qualcuno domanderà: non esiste dunque per gli ignoranti nessuna cerimonia che venga in aiuto alla loro semplicità? Ammetto che cercare di aiutarli in questo caso non è che opera buona e utile, occorre però, ripeto, usare discrezione, affinché il tutto serva a chiarire la conoscenza di Gesù Cristo e non a oscurarla.
Dio dunque ci ha dato poche e comprensibili cerimonie per raffigurarci Gesù Cristo da quando egli ci è stato offerto. In maggior numero ne hanno avuto gli Ebrei, per raffigurarlo nel tempo della sua assenza. Sottolineo il fatto che egli risultava assente da loro non riguardo alla potenza ma alla sola rappresentazione.
Vogliamo pertanto attenerci in questa materia ad un sano criterio? Dobbiamo evitare di moltiplicare le cerimonie che debbono invece essere poche, secondo l'ordine di Dio. Bisogna vigilare che quelle che abbiamo siano facili per non opprimere le coscienze, risultino evidenti nel loro significato e rivestite di maestà, come già abbiam detto. È necessario dimostrare più ampiamente che questo non è stato fatto? Tutti possono rendersene conto.
15. Passo sotto silenzio le perniciose fantasticherie con cui hanno nutrito la povera gente, facendo credere che le cerimonie inventate dagli uomini sono sacrifici graditi a Dio, che cancellano i peccati, procurano giustizia e salvezza. Qualcuno obietterà che, trattandosi di cose buone in se stesse, non possono essere corrotte da errori sopravvenuti in seguito, visto che altrettanto accade per le opere ordinate da Dio. Conferire tale onore alle opere inventate dagli uomini a loro piacimento, è più intollerabile che reputarle meritorie della vita eterna. Poiché, nel caso delle opere ordinate da Dio, il fondamento della loro remunerazione deriva dal fatto che Dio le gradisce in virtù della obbedienza. Non sono dunque valutate in base alla loro dignità o al loro merito intrinseco, ma in quanto Dio gradisce l'obbedienza che gli offriamo. Nel caso, intendo, che si possa compiere in modo perfetto ciò che Dio ordina. Le opere che facciamo, infatti, piacciono a Dio unicamente in virtù della sua bontà gratuita perché l'obbedienza non è presente che a metà. Lasciamo stare però questa questione in sospeso, in quanto non stiamo qui discutendo dell'origine della nostra giustizia.
Ritornando alla questione ripeto che tutto il merito e il valore presente nelle opere deriva dall'obbedienza che rendiamo a Dio, solo elemento, come dice il suo profeta, che egli prenda in considerazione: "Non vi ho dato "dice "nessun comandamento riguardo ad olocausti e sacrifici, ma questo ho comandato: ascoltare la mia voce " (Gr. 7.22-23). Riguardo alle opere che gli uomini fanno per spirito di devozione, così si esprime in un altro testo: "Perché spendete per ciò che non è pane? " (Is. 55.2) , affermando così che si tratta di fatica sprecata. "Invano mi onorano con un comandamento imparato dagli uomini " (Is. 29.13; Mt. 15.9).
I nostri avversari, pertanto, non potranno mai giustificare il fatto che lasciano il popolo cercare in questo cumulo di tradizioni umane a sua giustizia, per poter sussistere in presenza di Dio e ottener salvezza.
Anzi, non si tratta forse di un errore degno di esser grandemente deplorato, il fatto che ricorrano a molte cerimonie di cui non si afferra il senso, per divertire la gente come gli incantatori e i giocolieri alla fiera? È chiaro infatti che ogni cerimonia deve considerarsi nociva e perversa se non conduce gli uomini a Cristo. Ora tutte le cerimonie in uso nel papismo non hanno né contenuto dottrinale, né significato alcuno, ma sono esclusivamente poiché l'uomo è abile nell'inventare cose che tornano a suo vantaggio, la maggior parte di queste cerimonie sono state create dai preti per pura cupidigia, allo scopo di tirar acqua al loro mulino. Qualunque ne sia l'origine, se si vuol purificare la Chiesa da una turpitudine evidente ed impedire che vi eserciti commercio o traffico indegno, non si potrà fare altrimenti che eliminarne la maggior parte in quanto si tratta di trucchi per spillar soldi alla gente.
16. Quantunque sembri che quanto abbiam detto sin qui circa le tradizioni umane valga solo per il nostro tempo, al solo fine di rifiutare le superstizioni papiste, tuttavia se ne può ricavare una dottrina valida per ogni tempo. Ogni volta che si diffonde la follia di voler servire Dio con invenzioni umane, tutti i provvedimenti che si prendono a questo fine, culminano negli abusi che abbiamo menzionati. Non è infatti valida solo per un tempo, ma per sempre la maledizione che Dio ha annunziata: colpire di cecità e di stoltezza tutti coloro che lo serviranno mediante dottrine umane (Is. 29.13). Questo accecamento conduce tutti coloro che si dipartono dalla retta via, disprezzando gli ammonimenti divini, a cadere da una assurdità all'altra.

Tuttavia per chi desideri, senza riferimento al papato, avere una dottrina generale circa le tradizioni umane che in ogni tempo debbono essere ripudiate nella Chiesa, avrà in ciò che abbiamo detto più sopra premesse chiare e sicure: si debbono valutare nel modo suddetto tutte le leggi fatte dagli uomini senza la parola di Dio, al fine ovvero di stabilire una qualche forma di servire Dio o di vincolare le coscienze. Qualora ne derivino altri abusi: che la moltitudine delle cerimonie oscuri la limpidità dell'evangelo, o si tratti di pratiche assurde e inutili che non possono edificare o siano mezzi per scroccar denaro o il po' polo risulti oltremodo aggravato o si favorisca il sorgere di altre gravi superstizioni, tutto questo ci dovrà aiutare a discernere facilmente il male e il danno che ne deriva.
17. Conosco la loro risposta: le loro tradizioni non sono frutto di loro iniziative, ma provengono da Dio in quanto la Chiesa è retta dallo Spirito Santo affinché non commetta errori. Che l'autorità della Chiesa stia dalla loro parte, è per loro un presupposto. Acquisita questa premessa, ne deriva che tutte le loro tradizioni sono rivelazione dello Spirito Santo e non si possono disprezzare senza disprezzare Dio. Perché non sembri che di loro iniziativa abbiano follemente inventato qualcosa, fanno credere che la maggior parte delle loro leggi è di origine apostolica. Anzi, dicono, possono illustrare la prassi seguita dagli apostoli; un solo esempio lo dimostra: quando cioè raccolti insieme hanno deciso nel loro concilio che i Gentili dovessero astenersi dal mangiare sangue, carne di bestie soffocate o sacrificare agli idoli (At. 15.20).
Abbiamo dimostrato ampiamente, in altra sede, quanto falsamente si servano del titolo di Chiesa per difendere la loro autorità . Per quanto concerne il presente argomento se, evitando ogni falsità e ipocrisia, consideriamo quale sia la Chiesa che Cristo richiede per sottostare alla sua norma, risulterà evidente che non è affatto Chiesa quella che, oltrepassando i limiti della parola di Dio, prende l'iniziativa di fare nuove leggi ed inventare nuove forme di culto. Non è forse perenne quella legge imposta alla Chiesa: "avrai cura di mettere in pratica tutte le cose che ti comando, non vi aggiungerai nulla, né vi toglierai nulla " (De 12.32) ? E quella: "non aggiunger nulla alla parola del Signore ch'egli non t'abbia a riprendere e tu non sia trovato bugiardo " (Pr 30.6) ? Non si può negare che queste cose siano state dette alla Chiesa; chi perciò afferma che, nonostante questi divieti, ha osato prendere l'iniziativa di aggiungere del suo alla parola di Dio, non fa altro che accusarla di ribellione contro Dio. Non prestiamo fede alle loro menzogne con cui viene recata così grande offesa alla Chiesa. Riconosciamo piuttosto che il nome della Chiesa è rivendicato a torto quando si vuole giustificare la temerarietà degli uomini, che oltrepassa i limiti della parola di Dio per produrre le sue invenzioni. Le espressioni con cui è proibito alla Chiesa universale di aggiungere o togliere alla parola di Dio, non sono né difficili, né ambigue, né incerte quando si tratti del servizio di Dio.
Diranno che questo fu detto della sola Legge, dopo la quale sono venute le profezie; lo ammetto, purché si intenda che il loro scopo fu quello di portare a compimento la Legge più che aggiungere o togliere qualcosa. Or dunque se il Signore non permette che al ministero di Mosè, quantunque pieno di lacune, si aggiunga o tolga alcunché, finché egli non dia, per mezzo dei profeti suoi servi, infine per mezzo del figlio suo amato, più chiari insegnamenti, come non ritenere che sia proibito in modo ancora più rigoroso aggiungere qualcosa alla Legge, ai Profeti, ai Sl. , all'evangelo? Il Signore non ha certo mutato l'opinione che aveva anticamente manifestata: non esservi nei suoi riguardi offesa più grave che la pretesa degli uomini di servirlo con le proprie invenzioni.
Valide testimonianze si hanno nei Profeti, che dovrebbero essere assiduamente davanti agli occhi. In Geremia: "quando trassi i vostri padri fuori della terra d'Egitto non diedi loro alcun comandamento intorno ad olocausti ed a sacrifizi, ma questo comandai loro dicendo: "ascoltate la mia voce e sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo; camminate in tutte le vie che io vi prescrivo " " (Gv. 7.22). E ancora: "Ho scongiurato i vostri padri dicendo: ascoltate la mia voce " (Gr. 11.7). Se ne leggono parecchie altre simili ma questa è particolarmente eloquente e si trova in Samuele: L'Eterno gradisce i sacrifici e gli olocausti come l'ubbidienza alla sua voce? Ecco l'ubbidienza val meglio che il sacrificio, e dare ascolto val meglio che il grasso dei montoni; perché la ribellione è come il peccato di stregoneria e l'ostinatezza è come l'adorazione degli idoli " (1 Re 15.22-23).
18. Non potendosi tutte le invenzioni, che si giustificano sotto veste dell'autorità ecclesiastica, lavare dall'accusa di empietà, è facile dedurre che falsamente sono state attribuite alla Chiesa. È questa la ragione per cui combattiamo coraggiosamente la tirannia delle tradizioni umane che sono mantenute sotto il titolo di Chiesa. Non disprezziamo infatti la Chiesa, come i nostri avversari, per renderci odiosi, ci accusano di fare; anzi le attribuiamo la lode di essere obbedita, la maggior lode che si possa desiderare. Sono loro che recano offesa alla Chiesa in modo oltraggioso, facendola ribelle al suo Signore, in quanto essa, secondo il loro dire, ha trasgredito il comandamento di Dio. E non sottolineo il fatto che è mancanza assoluta di pudore e malizia, nel caso loro, riferirsi costantemente all'autorità della Chiesa e non di meno lasciar da parte, e passare sotto silenzio, l'ordine che ha ricevuto da Dio e l'obbedienza che gli deve. Se desideriamo invece, come è il caso, essere in accordo con la Chiesa, occorre piuttosto considerare ciò che Dio ordina a noi, e a tutta la Chiesa similmente, per obbedirgli di comune accordo. Non dobbiamo infatti avere il minimo dubbio di essere in pieno accordo con la Chiesa, se in ogni cosa siamo obbedienti a Dio.
Riguardo all'origine apostolica delle loro tradizioni, si tratta di un puro inganno; visto che tutto l'insegnamento degli apostoli mira a questo scopo: che le coscienze non siano gravate da nuove tradizioni e la religione cristiana non sia contaminata da nuove invenzioni. Se bisogna prestar fede alla storia antica, gli apostoli non hanno neppur sentito parlare delle cose che vengono loro attribuite da costoro.
Non ci vengano a raccontare che molti decreti apostolici, che non furono mai scritti, sono stati accolti nell'uso; quelle cose cioè che essi non potevano intendere prima della morte di Gesù Cristo ma hanno ricevuto dopo la sua ascensione per rivelazione dello Spirito Santo. Abbiamo già esaminato più sopra questa tesi.

Mi sembrano poi assolutamente ridicoli quando vogliono elencare questi misteri così a lungo sconosciuti agli apostoli, e citano, da un lato cerimonie ricavate da quelle che erano precedentemente in uso fra Ebrei o pagani, dall'altra folli scimmiottagini e cerimonie assurde che gli asini di preti (incapaci di camminare e parlare ) sanno a memoria, e che gli sciocchi e i bambini imitano così bene che ne sembrano avere la conoscenza innata. Quand'anche non possedessimo documenti, non c'è persona di buon senso che non veda che tale moltitudine di cerimonie non è venuta nella Chiesa improvvisamente, ma vi è stata introdotta a poco a poco. Quantunque i buoni vescovi, che predicavano ai tempi degli apostoli, avessero infatti emanate alcune sante ordinanze riguardo all'ordine e al governo della Chiesa, i loro successori, gente sconsiderata e bramosa di novità, hanno voluto aggiungervi ognuno il suo pezzetto, gli ultimi, desiderando sempre superare i predecessori. Anzi, essendoci il pericolo che quelle invenzioni, mediante cui volevano procacciarsi fama e celebrità, se ne andassero subito a ramengo, hanno fatto ricorso ad una severità maggiore di quella usata dai loro predecessori, per costringere il popolo all'obbedienza.
Questa folle e perversa emulazione, con cui ognuno ha voluto mostrarsi abile quanto il compagno nell'inventar novità, ci ha procurata la maggior parte di quelle cerimonie che i papisti del giorno d'oggi vogliono farci considerare decreti apostolici. Come ho già detto, però, la storia ci fornisce sufficienti testimonianze al riguardo.
19. Per non dilungarci nel fare un lungo esame, accontentiamoci di un esempio. Gli apostoli nell'amministrare la Cena di nostro Signore hanno fatto uso di una grande semplicità. I successori immediati, per mettere in evidenza la dignità di quel mistero, hanno aggiunto alcuni elementi alla celebrazione, non condannabili in assoluto. Da allora però si son fatte avanti altre scimmie che hanno avuto la folle pretesa di aggiungere sempre nuovi elementi e hanno così composto sia i paramenti dei preti, che quelli dell'altare, quella sciocca commedia che vediamo oggi nella messa con tutto il suo ciarpame.
I papisti hanno ancora un'obiezione: da sempre si è considerato stabilito che tutto ciò che di comune accordo si accettava nella Chiesa universale provenisse dagli apostoli, come attesta sant'Agostino. Non darò altra risposta che questa, per bocca di sant'Agostino stesso: "tutte le cose "dice "che si accettano universalmente, si devono ritenere ordinate dagli apostoli o dai concili universali, la cui autorità è assai utile nella Chiesa; il fatto per esempio che si celebri annualmente il ricordo della Passione e della risurrezione di nostro Signore, la sua ascensione al cielo, la Pentecoste, e altre cose analoghe che si accettano nella Chiesa tutta, ovunque essa è presente nel mondo".
Il fatto che egli menzioni così pochi esempi, non indica forse chiaramente che fra le molte pratiche, allora in uso, non ha voluto considerare legittime se non quelle che risultavano di qualche utilità per mantenere l'ordine nella Chiesa con semplicità? Siamo però ben lungi dalla pretesa dei Romanisti secondo cui la più insignificante quisquilia delle loro cerimonie è stata stabilita dalla autorità degli apostoli.
10. Per brevità farò solo un esempio. Se qualcuno domanda loro donde abbiano tratto la loro acqua benedetta, immediatamente risponderanno: dagli apostoli, quasi non sapessimo dalla storia, che ad inventarla è stato un papa, il quale, se avesse interrogato gli apostoli prima di prendere quella decisione, mai avrebbe insozzato il battesimo con questa immondizia avendo la pretesa di far un memoriale del sacramento che, non senza ragione, è stato stabilito per essere ricevuto una volta soltanto. Non mi sembra neppur verosimile che l'origine sia così antica come lo dice la storia. Sant'Agostino afferma che alcune Chiese del tempo suo rifiutavano la cerimonia della lavanda dei piedi il giorno della Cena per tema che questo potesse sembrare un riferimento al battesimo . Egli attesta così che non esisteva allora alcuna forma di lavacro, che avesse qualche somiglianza Cl. Battesimo. Rifiuto comunque di ammettere che possa mai essere proceduto dallo spirito degli apostoli l'uso di abluzioni quotidiane, in ricordo del battesimo in quanto equivarrebbe a ripeterlo.
È senza rilievo il fatto che sant'Agostino, in un altro testo, attribuisca agli apostoli altre considerazioni, infatti non fa che una congettura; quale opinione si potrebbe fondare su queste asserzioni riguardo ad una materia di tale importanza?
Infine, quand'anche accettassi che le cose dette da lui discendano dall'età apostolica, una differenza sostanziale permane tra lo stabilire alcune pratiche di cui i credenti possano usare liberamente ed emanare norme vincolanti per le coscienze. Tuttavia poiché hanno dato luogo a sì gravi abusi non rechiamo alcun disonore all'autore loro, chiunque esso sia, nel rifiutarle a causa della corruzione sopravvenuta, tanto più che non furono istituite con la pretesa di essere perpetue.
21. L'esempio degli apostoli, che costoro citano per conferire autorità alla loro tirannide, non aggiunge nulla di più. Gli apostoli, dicono, e gli anziani della Chiesa primitiva hanno stabilito una legge che andava oltre gli ordini di Cristo, con la quale proibirono ai pagani di mangiar carni immolate agli idoli, carne di animali soffocati, sangue (At. 15.20); se hanno avuto la ragione in questo, perché i loro successori non potrebbero imitarli ogni qual volta se ne presenti la necessità?
Vorrei che li imitassero in questo e in altro! Contesto infatti che nell'agire così gli apostoli abbiano istituito o stabilito qualcosa di nuovo, ed è facile dimostrarlo. Dato che in questa stessa occasione san Pietro afferma che equivale a tentare Dio l'imporre qualche carico ai discepoli rinnegherebbe in seguito il suo pensiero, accettando che qualcosa venga loro imposto. Si sarebbe trattato indubbiamente di un peso se gli apostoli avessero decretato, in base alla loro autorità, che fosse proibito ai pagani di mangiar carne sacrificata agli idoli, carne di animali soffocati, o sangue.
Nondimeno il dubbio permane che essi realmente l'abbiano proibito. Quando si consideri più da vicino il senso della loro decisione la soluzione risulta facile. Il primo punto e il punto fondamentale, è che bisogna lasciare ai pagani la loro libertà, senza fare loro violenza, né turbarli con l'osservanza della Legge. In questo il testo è in nostro favore. L'eccezione che segue, riguardo i sacrifici, la carne soffocata, e il sangue, non è una nuova legge fatta dagli apostoli ma è l'ordine eterno di Dio di mantenere la carità. La libertà dei pagani non è sminuita in nulla, ma essi sono soltanto ammoniti ad accomodarsi ai loro fratelli, per non scandalizzarli con l'uso della loro libertà. Notiamo dunque che il secondo punto consiste in questo: la libertà dei pagani non deve risultare nociva né scandalosa per i loro fratelli.
Se qualcuno persiste ancora dicendo che essi ordinano alcune cose, risponderò che essi vogliono soltanto mostrare, in che cosa i Gentili potevano scandalizzare i loro fratelli, affinché lo evitassero: tuttavia non aggiungono nulla di nuovo alla legge eterna di Dio che proibisce gli scandali.
22. Se oggi, ad esempio, nei paesi in cui le Chiese non sono ancora saldamente costituite, i buoni pastori vietassero a coloro che sono già dovutamente istruiti di mangiar carne il venerdì o di lavorare nei giorni festivi, fintantoché i più deboli nella fede siano diventati santi con buoni insegnamenti, avremmo una situazione analoga. Quantunque infatti queste cose siano, in se stesse, indifferenti, quando non abbiano carattere di superstizione, se, facendole, si procura scandalo ai fratelli più deboli, non sono immuni da peccato. Oggi, i tempi sono tali, che i credenti non possono far questo in presenza dei loro fratelli più deboli, senza ferire gravemente le loro coscienze. Chi potrebbe affermare, senza calunniare, che così facendo questi buoni pastori stabiliscono leggi nuove mentre è chiaro che pongono soltanto rimedio agli scandali che sono proibiti da Dio in modo sufficientemente chiaro.
Altrettanto può dirsi degli apostoli, la cui intenzione è stata solo il mantenimento della legge di Dio che ordina di evitare gli scandali, quasi ci avessero detto: il comandamento di Dio è che non rechiate offesa ai vostri fratelli infermi, non potete perciò mangiare carne offerta agli idoli, né carni soffocate, né sangue senza offenderli; vi abbiamo dunque ordinato, in base alla parola di Dio, di non mangiare per non causare scandalo. Che tale fosse l'intenzione degli apostoli, lo attesta san Paolo; concordando con questa loro ordinanza egli scrive infatti: "riguardo alle carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che l'idolo non è nulla nel mondo, ma alcuni mangiano di queste carni come essendo sacrificate agli idoli, e allora la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata. E badate che questo vostro diritto non diventi un intoppo per i deboli " (1 Co. 8.1). Chi consideri questo fatto non sarà più oltre ingannato da questi bugiardi che voglion far credere che gli apostoli hanno cominciato a porre un limite alla libertà della Chiesa con questa ordinanza. Anzi, per impedire loro di sottrarsi negando che quanto ho detto sia la pura verità, mi rispondano in base a quale autorità hanno annullato questo decreto apostolico. Possono soltanto rispondere che non sussiste più il pericolo di scandali e di divisioni a cui gli apostoli vollero porre rimedio, perciò, essendo caduta la sua motivazione, la legge non ha ragion di durare più a lungo o avere valore. Questa norma è stata dunque emanata per motivo di amor fraterno, e non è violata se non in quanto si agisce contro l'amore fraterno; ammettono essi stessi che non si tratta di una norma aggiunta alla legge di Dio, su iniziativa degli apostoli, ma che questi hanno semplicemente adattato al loro tempo ciò che nostro Signore aveva ordinato a tutti nella sua parola.

23. Replicano che quand'anche le leggi ecclesiastiche risultassero mille volte inique ed ingiuste, devono essere osservate, perché, in questo caso, non si tratta di consentire ad errori, ma soltanto di obbedire come sudditi, a ciò che i nostri superiori ci ordinano e che non ci è lecito rifiutare.
Nostro Signore però, mediante la verità della sua parola, ci libera da questa falsa obiezione, e dalla servitù per mantenerci nella libertà che ci ha procurato mediante il suo sangue prezioso. Non è affatto vero, come perfidamente vogliono farci intendere, che in questo caso si tratta solo di accettare una costrizione, sia pure penosa, nel nostro corpo; lo scopo loro è privare le nostre coscienze della libertà, cioè del frutto che ricevono dal sangue di Cristo, di tormentarle in una condizione servile e misera. Tralasciamo questo punto di scarsa importanza.
Possiamo però giudicare di scarso rilievo il fatto di sottrarre a Dio il regno che egli vuole sia mantenuto sopra ogni cosa? Questa autorità gli è negata ogni volta che si pretende servirlo con leggi frutto di invenzioni umane, visto che egli vuole essere l'unico legislatore per quanto concerne il suo nome e il suo servizio. Affinché non le si giudichi cose di poco conto, si presti attenzione a come le considera nostro Signore: "Giacché il timore che questo popolo ha di me, non è altro che un comandamento imparato dagli uomini, ecco io continuerò a fare delle meraviglie, meraviglie su meraviglie; e la saviezza dei suoi savi perirà e l'intelligenza degli intelligenti sparirà " (Is. 29.13). E ancora in un altro testo: "invano mi rendono il loro culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
In realtà la ragione, per cui i figli di Israele si sono contaminati in molte idolatrie, si deve ricercare in questa confusione in base alla quale, trasgredendo i comandamenti di Dio, hanno inventato culti estranei. A questo riguardo la storia sacra narra che i nuovi abitanti di Samaria, inviati quivi dal re di Babilonia, venivano quotidianamente aggrediti dagli animali selvatici in quanto ignoravano gli statuti del dio del paese. Dio quantunque non avessero violato in alcun modo le leggi cultuali, non approvò i loro riti vani ma volle punire questa specifica profanazione del suo culto: gli increduli e i pagani lo volevano servire a loro modo. È pertanto aggiunto poco dopo che imparavano ad osservare, riguardo alle forme esteriori, ciò che Dio aveva ordinato nella sua legge. Ma non adoravano ancora Dio con purezza, viene ripetuto per ben due volte, in quanto lo temevano e non lo temevano (4 Re 17.24 ; 32 ; 41). Dobbiamo dunque trarre la deduzione che un aspetto dell'onore che gli dobbiamo, si esprime nel non mischiare il culto che ha ordinato nella sua parola, con le nostre invenzioni. Perciò i re buoni e fedeli sono spesso lodati nella Scrittura per aver osservato, riguardo alla religione, ciò che era stato ordinato nella Legge, senza sviarsi né a destra, né a sinistra (4 Re 22. ealtri passi ).
Vado ancora oltre: quand'anche in una forma particolare di culto, non risultasse evidente l'empietà, al primo esame, pure non manca di essere aspramente condannata in quanto rappresenta sempre un allontanamento dal comandamento di Dio. L'altare di cui Acaz aveva fatto portare il modello da Samaria, poteva considerarsi un elemento decorativo adeguato ad accrescere la dignità del Tempio, visto che l'intenzione di quel re malvagio, era semplicemente di fare sacrifici all'iddio vivente su questo altare, in modo più degno di quanto potesse fare sull'antico. Tuttavia lo Spirito Santo dis.pprova tale libertà per il solo fatto che ogni invenzione umana, malgrado le sue apparenze, non fa che corrompere e avvelenare il culto di Dio. Quanto più la volontà di Dio ci è chiaramente esplicitata, tanto meno si giustifica la temerarietà di aggiungervi altre cose. Il delitto di Manasse viene così fortemente aggravato dal fatto di aver edificato un altare in Gerusalemme là dove Dio aveva dichiarato che vi avrebbe posto il suo nome (4 Re 21.3). Non attenersi infatti a ciò che egli approva, equivale a rigettare deliberatamente la sua autorità.
24. Molti giudicano strano il fatto che nostro Signore minacci, con tanta violenza, di compiere cose straordinarie contro il popolo che lo adorava con dottrine e ordinamenti umani e dichiari vani tali onori. Se considerassero però che cosa significhi dipendere unicamente dalla bocca di Dio in materia di religione, cioè in materia di sapienza celeste, comprenderebbero la ragione per cui nostro Signore ha in tale abominio i culti sregolati che gli vengono fatti, secondo la stolta cupidigia degli uomini. Infatti, pur manifestandosi in coloro che lo servono una qualche forma di umiltà in quanto per lui si sottomettono alle leggi degli uomini, tuttavia costoro non sono affatto umili davanti a lui, anzi gli impongono quelle stesse leggi che osservano. Per questa ragione san Paolo chiede con tanta insistenza di non lasciarci ingannare dalle tradizioni umane (Cl. 2.4) , adoperando un termine greco appropriato che significa "servizio volontario ", cioè frutto dell'invenzione degli uomini senza la parola di Dio.
Risulta chiaro così che la sapienza di tutti gli uomini, e la nostra, devono essere rese pazze affinché Dio solo possa essere savio. Atteggiamento dal quale sono ben lungi coloro che pensano compiacergli con riti inventati dagli uomini a loro piacimento e quasi gettandogli in faccia, per forza, e suo malgrado, un'obbedienza perversa che ha per oggetto gli uomini, non lui. Come è stato il caso sin qui, per lungo tempo, e ancora di nostra memoria, e tuttora continua ad essere nei paesi dove la creatura ha maggiore autorità del Creatore. Paesi che hanno una religione, se si può considerare degna di questo nome, mista a superstizioni e follie idolatriche più di quanto fosse l'antica idolatria pagana. Che cosa è in grado di produrre la sensibilità dell'uomo se non cose carnali e folli che dimostrano chiaramente chi ne è l'autore?
25. Il caso che questi avvocati della superstizione citano, del sacrificio di Samuele a Ramot (1 Re 7.17) , che piacque a Dio pur essendo compiuto contro la Legge, non è difficile da interpretare egli non edificò un secondo altare da contrapporre al primo fondato per ordine di Dio, ma semplicemente, in quanto non vi era alcuna sede stabile per il tabernacolo, prescelse la sua residenza quale luogo più comodo. L'intenzione del santo profeta non fu certo quella di mutare in qualche modo la forma del culto cui Dio aveva così rigorosamente proibito di nulla aggiungere o togliere.
Il caso di Manoa, padre di Sansone, è particolare ed eccezionale (Gd. 13.19); trattandosi di una persona privata non gli sarebbe stato lecito sacrificare senza ispirazione divina. Questo fatto si riferisce a lui solo e altri non sarebbero stati egualmente approvati.

Al contrario Dio ha dato nella persona di Gedeone un insegnamento degno di nota e valido per sempre per mostrare quanto gli ripugni il culto che gli uomini, secondo la propria iniziativa, gli rendono: l'efod che Gedeone venerò con superstizione assurda, fu causa di rovina non solo per lui e la sua famiglia, ma per il popolo intero (Gd. 8.27). Ogni invenzione, insomma, con cui gli uomini pretendono adorare Dio, altro non è che corruzione della santità autentica.
26. Perché, dunque, replicano costoro, Cristo ci avrebbe invitato a portare i pesi insopportabili che gli scribi e i Farisei impongono? Per parte mia chiedo loro perché lui stesso, in un'altra occasione, volle che ci si guardi dal lievito dei Farisei definendo "lievito ", secondo l'interpretazione dell'evangelista san Matteo, tutte le dottrine che essi mischiavano con la parola di Dio (Mt. 16.6; 23.3) ? Che chiediamo di più? Ci viene ordinato di fuggire e di evitare ogni loro dottrina. È evidente che nostro Signore in quell'altro testo non ha voluto che le coscienze dei suoi fossero gravate dalle tradizioni dei Farisei.
Le parole stesse sono lungi dall'aver un significato del genere, quando non siano oggetto di esegesi cavillose. Nostro Signore, volendo redarguire aspramente la cattiva condotta dei Farisei, intende precisare, anzitutto ai suoi uditori, che pur non riscontrando nelle abitudini dei Farisei nulla che fosse degno di limitazione, non dovevano tuttavia trascurare il loro insegnamento orale, quando si trovavano seduti sulla cattedra di Mosè, quando cioè esponevano la Legge. Ha dunque voluto semplicemente prevenire il pericolo che il popolo fosse indotto dal cattivo esempio dei suoi capi a disprezzare la dottrina di Dio.
Dato però che alcuni non si lasciano convincere da nessun argomento, e vanno sempre in cerca dell'autorità, citerò le parole di sant'Agostino in cui egli fornisce un'interpretazione analoga alla nostra: "il gregge del Signore ha dei pastori, alcuni figli suol, altri mercenari. I pastori che sono figli di Dio sono veri pastori. Tuttavia considera in che cosa anche i mercenari risultino utili. Molti ministri nella Chiesa predicano Gesù Cristo cercando il loro profitto personale, la voce di Gesù Cristo viene udita in bocca a loro, e le pecore seguono non il mercenario, ma il pastore nei mercenari. Ascoltate come il Signore ci ha illustrato la figura del mercenario: "gli scribi "dice, "e i Farisei sono seduti sulla cattedra di Mosè; fate ciò che vi dicono, ma non fate ciò che fanno ". Li come se dicesse: "ascoltate la voce del pastore nella voce dei mercenari, poiché seduti in quella cattedra insegnano la legge di Dio ". Dio insegna dunque per bocca loro; ma se vogliono recare alcunché di loro non ascoltateli, e non fate quello che vi dicono ".
27. Alcuni semplici, però, udendo che le coscienze dei credenti non debbono essere vincolate da tradizioni umane e che Dio non è affatto servito da queste, pensano che lo stesso debba dirsi riguardo alle norme stabilite per mantenere ordine nella Chiesa; è necessario a questo punto chiarire l'equivoco. È facile ingannarsi in questa materia; non risulta infatti evidente la differenza fra queste due categorie di leggi: illustreremo però la questione in modo così piano, che nessuno potrà essere ingannato dalla somiglianza.

Facciamo anzitutto questa riflessione: se ammettiamo che debba esistere in ogni comunità umana un governo per mantenere fra gli uomini pace e concordia e un ordine per garantire decoro e umanità, queste cose devono in primo luogo essere osservate nelle Chiese, che sono mantenute, laddove esiste un ordine e sono invece interamente disperse dalla discordia. Se vogliamo perciò prendere adeguati provvedimenti per la conservazione della Chiesa bisogna impegnarsi affinché ogni cosa sia fatta con decoro ed ordine come dice san Paolo (1 Co. 14.40).
Ora, riscontrandosi fra gli uomini così grandi contrasti di idee e di opinioni, nessun governo potrebbe sussistere tra loro se non garantito da leggi precise, e nessun ordine potrebbe essere mantenuto senza delle norme sicure. Lungi dal riprovare le leggi che tendono a questo fine, affermiamo, anzi, che senza di loro le Chiese sarebbero immediatamente distrutte e non si può fare si che ogni cosa sia attuata con decoro e con ordine, come san Paolo ritiene, senza che l'ordine ed il decoro siano tutelati da norme precise.
Bisogna nondimeno sempre vigilare onde queste regole non vengano considerate necessarie alla salvezza, con il risultato di conculcare le coscienze o si faccia consistere in esse l'ordine e l'onore e il culto di Dio, quasi costituissero la vera pietà.
20. Siamo dunque in presenza di una norma valida e sicura per distinguere fra le costituzioni maledette da cui, come abbiam detto, la vera religione è distrutta, e le coscienze sono oppresse, e le sante norme della Chiesa che hanno lo scopo di mantenere un retto atteggiamento nella comunità dei credenti e garantire fra loro pace e concordia.
Quando si sia riconosciuto che una norma è data in vista di un comportamento viene ad essere già eliminata ogni superstizione, in cui incappano coloro che fanno consistere il culto divino in invenzioni umane. Anzi, quando si sia chiarito che essa ha semplicemente lo scopo di garantire tra gli uomini l'amore fraterno è eliminata quell'opinione errata della obbligatorietà e della necessità intrinseca che opprime orribilmente le coscienze quando le tradizioni si considerano necessarie a salvezza. Per avere quella conoscenza di cui abbiamo detto, si tratta semplicemente di mantenere fra noi l'amor fraterno servendo gli uni agli altri.
È però necessario esporre più chiaramente ciò che implica questo decoro e ordine di cui parla san Paolo. È scopo del decoro far si che quando si istituiscono cerimonie per dare maestà e onore ai sacramenti, il popolo sia guidato e quasi aiutato a onorare Dio. In secondo luogo vi si manifesti serietà e modestia. Riguardo all'ordine il primo elemento consiste nel fatto che i prelati e i pastori sappiano qual sono le norme di un buon governo e il popolo sia esercitato all'obbedienza a alla disciplina. Il secondo scopo è di far sì che la Chiesa sia mantenuta in buona concordia essendo organizzata in forma dovuta.
29. Non parleremo dunque di "decoro "laddove non c'è che spettacolo frivolo per far piacere agli uomini, come si riscontra nelle cerimonie di cui fanno uso i papisti nel loro culto. Poiché in questo caso non vi è che maschera di bella apparenza, ma inutile, ed esteriorità senza frutto. Considereremo "decoro "invece tutto ciò che, stabilito per dar onore ai santi misteri di Dio, guida il popolo ad una devozione autenticamente cristiana, tutto ciò che serve a conferire decoro all'atto che si compie e ogni cosa che abbia di mira l'edificazione affinché i credenti siano guidati a comprendere, con questo mezzo, la modestia, il timore, la riverenza, con cui si devono disporre per adorare il Signore. Ora le cerimonie non sono esercizi di pietà se non in quanto conducono, quasi per mano, il popolo a Cristo. Similmente non dobbiamo far consistere "l'ordine "in quelle cerimonie inutili ridotte a vana apparenza, ma in saggio governo che elimini la confusione, le dispute, e ogni contrasto.
Del primo tipo abbiamo esempi in san Paolo, quando proibisce di confondere banchetti profani e la santa Cena di nostro Signore, e ordina alle donne di non presentarsi in pubblico a capo scoperto (1 Co. 11.21.5). E abbiamo esempi ancor più semplici fra noi: il pregare in ginocchio in pubblico, non trattare i sacramenti di nostro Signore in modo irriverente e indecoroso, non buttare il corpo degli uomini morti come carogne di animali, ma seppellirli con decoro dopo averli avvolti in un lenzuolo.
Esempi della seconda categoria sono: avere ore fisse per la predicazione e per le preghiere pubbliche e per i sacramenti, avere luoghi a ciò destinati, cantici e salmi, osservare il silenzio durante la predicazione della Parola, che le donne, secondo l'ordine di san Paolo non presumano di insegnare (1 Co. 14.34); e altre norme analoghe. Dobbiamo includere in questa categoria come essenziali le ordinanze che concernono la disciplina come ad esempio: il catechismo, le ammonizioni, la scomunica, i digiuni pubblici e altre simili.
In tal modo tutte le costituzioni della Chiesa, che si debbono considerare buone e sante, si possono ricondurre a queste due serie di problemi: lo stabilire cerimonie da un lato e dall'altro il mantenere la disciplina e la concordia.
30. Poiché sorge a questo punto il pericolo che quei vescovi mitrati prendano occasione di giustificare le loro leggi pestifere e tiranniche, quasi ricavando qualche giustificazione da quanto abbiamo detto e chi vi siano, d'altra parte, alcuni che per timore di ricadere nella deplorevole schiavitù in cui abbiamo vissuto, respingano esplicitamente ogni regolamento ecclesiastico, per quanto buono e santo esso sia, devo chiarire che non ho inteso approvare altre costituzioni se non quelle che risultano fondate sull'autorità di Dio e tratte dalla Scrittura, e si possono perciò ritenere autenticamente divine.
Ad esempio l'abitudine di inginocchiarci nel caso di preghiere solenni; dobbiamo considerare questa prassi tradizione umana che sia lecito ad ognuno accettare o respingere? La considero umana ma nello stesso tempo divina. È: da Dio in quanto fa parte di quel decoro che l'Apostolo ci raccomanda (1 Co. 14.40); è umana in quanto ci esplicita ed esemplifica quello che dall'apostolo era stato espresso in modo generale.
Da questo esempio siamo in grado di dedurre ciò che dobbiamo pensare di tutto il resto. In sostanza la questione è da porre in questi termini: poiché Dio ci ha esplicitamente dichiarato, nella sua parola, qual sia l'autentica norma di giustizia, il modo di servirlo rettamente e tutto quanto è necessario alla nostra salvezza, dobbiamo accogliere lui quale unico maestro in questa materia.
In materia di disciplina esteriore e di cerimonie, non ha voluto dare indicazioni dettagliate riguardo al modo di governarci, in quanto ciò dipende dalla diversità dei tempi e una forma unica non risulterebbe né utile né adeguata a tutte le età. È dunque necessario ricorrere alle norme generali di cui si è parlato: che cioè ogni cosa si faccia, nella Chiesa, con decoro e ordine. Infine poiché Dio non ha dato indicazioni esplicite, non trattandosi di realtà necessarie alla nostra salvezza, poiché è necessario usare di queste cose in modo diverso a seconda delle necessità, avendo in vista l'edificazione, dobbiamo trarre la conclusione che si possono istituire nuove norme e abolire quelle tradizionali, secondo l'utilità della Chiesa. Ammetto che non sia bene innovare tutti i momenti e per futili motivi, ma l'amor fraterno ci mostrerà molto chiaramente ciò che è in grado di edificare o di nuocere. Tutto andrà per il meglio, se accettiamo di essere guidati dalla carità.
31. È compito del popolo cristiano serbare le ordinanze, emanate a questo scopo, e adeguate a questa norma, e non per spirito di superstizione, ma in libertà di coscienza, sottoponendosi tuttavia di buon grado ad esse. Ora se è cosa Ma.fatta disprezzarle per pigrizia, molto peggio sarebbe violarle per spirito di contesa o di ribellione.
Che libertà di coscienza si può avere, dirà qualcuno, quando si sia tenuti ad osservarle in questo modo? Penso che la coscienza non cesserà di esser libera e spontanea, quando si tenga presente che le leggi a cui a si sottomette, non hanno carattere assoluto ma sono ausili esteriori per la debolezza umana, ausili di cui, quantunque non tutti abbiano necessità, è d'uopo tutti facciano uso in quanto siamo impegnati a mantenere carità reciproca gli uni con gli altri, come risulta chiaramente dagli esempi citati.
Vi è forse un sì grande mistero nell'acconciatura femminile, che si debba considerare delitto una donna in strada a capo scoperto? È forse stato imposto il silenzio in modo tale che non possa parlare senza commettere un grande peccato? Fanno forse parte della religione il pregare in ginocchio, seppellire i morti al punto che non si possa trascurare queste cose senza commettere delitto? No di certo, poiché se per l'urgenza di un aiuto da recare al vicino una donna fosse impedita di pettinarsi non commette affatto peccato se accorre a capo scoperto; e vi son circostante in cui è meglio parlare che tacere.
Non c'è nessun impedimento a che un malato preghi in piedi se non può inginocchiarsi. Infine in mancanza di un lenzuolo per avvolgere un morto, è meglio metterlo in terra nudo che lasciarlo senza sepoltura.
Nondimeno, per ben comportarci in questa materia, dobbiamo conformarci all'uso e alle leggi del paese dove viviamo e adottare una certa modestia che ci mostri ciò che bisogna seguire o evitare. Se alcuno pecca in queste cose, per dimenticanza o inavvertenza, non c'è nessun peccato; se è per spirito di opposizionel suo rifiuto è invece da condannare. Analogamente sono privi di importanza i giorni, le ore o l'edificio del culto, quali salmi si canti un giorno o l'altro; è però opportuno, se si vuol aver riguardo a mantenere la pace e la concordia, che siano stabiliti i giorni e le ore del culto, il luogo sia ampio per raccogliere tutti i fedeli. Quali sarebbero le conseguenze del disordine in questa materia qualora fosse lecito ad ognuno inventare, a suo piacimento, le cose che concernono l'ordine pubblico! È chiaro infatti che uno stesso provvedimento non avrebbe l'adesione di tutti, qualora le cose fossero lasciate nell'incertezza e alla decisione di ognuno. Chi vuol essere più saggio di quanto occorre consideri se ha buone motivazioni davanti a Dio. Per conto nostro ci basta la parola di san Paolo: "non abbiamo l'abitudine di essere contenziosi, e neppure le Chiese di Dio " (1 Co. 11.16).
32. Bisogna dunque vegliare con diligenza a che nessun errore sopravvenga ad oscurare e macchiare la purezza di questa prassi. Questo si verificherà se tutte le cerimonie di cui si fa uso avranno utilità evidente, se non saranno accolte in numero eccessivo, se specialmente il pastore veglierà con opportuni insegnamenti a sbarrare la strada ad ogni falsa opinione. Questa conoscenza farà sì che ognuno di noi avrà piena libertà in questa materia e non di meno ognuno liberamente imporrà un limite alla sua libertà laddove lo richiedono il decoro di cui abbiamo parlato, o la carità.
Anzi farà sì che osserveremo le cose suddette senza superstizione e non costringeremo gli altri ad osservarle, in quanto non faremo consistere il culto di Dio in moltitudine di cerimonie; una Chiesa non criticherà l'altra per la diversità delle forme esteriori, e infine, evitando di dare alle nostre leggi un carattere definitivo, riferiremo all'edificazione della Chiesa l'uso e il fine delle cerimonie, e in base alle esigenze di questa edificazione, saremo disposti a tollerare non solo il cambiamento di qualche cerimonia ma anche la soppressione e l'abolizione di tutte quelle che sono state in uso nel passato. Il tempo presente ci insegna che è bene, secondo l'opportunità dei tempi, sopprimere alcune pratiche che di per se non erano né sconvenienti né cattive. Ha regnato infatti nel passato una tale ignoranza che le Chiese si sono impegnate nell'osservanza delle cerimonie con intendimenti così corrotti e zelo così ostinato che a fatica si potrà purificarle dalle orribili superstizioni, sotto le quali sono state sepolte, senza ricorrere all'eliminazione di molte cerimonie, le quali erano state istituite nel passato, a ragione, e non sarebbero di per se da condannare.


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Istituzioni della religione cristiana
di Giovanni Calvino (1559)